Spinea, ha ucciso la compagna poi in carcere si è infilato un manico di scopa nell'occhio: «Ho fatto tutto da solo per punirmi»

Martedì 11 Ottobre 2022 di Nicola Munaro
Spinea, ha ucciso la compagna poi in carcere si è infilato un manico di scopa nell'occhio: «Ho fatto tutto da solo per punirmi»
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SPINEA - I punti di sutura sono ancora visibili, ma non ci saranno conseguenze irreparabili. E giovedì, tornando in carcere dopo i ricoveri all’ospedale dell’Angelo di Mestre e al Civile di Venezia per via di un manico di scopa conficcato nel suo occhio, Alexandru Ianosi ha raccontato di aver fatto tutto da solo nella sua cella. La causa sarebbe stata un servizio al telegiornale che parlava di lui e che lo descriveva come un mostro. Ha detto di essersi voluto punire per aver ucciso a coltellate la sua compagna Lilia Patranjel nel salotto del loro appartamento a Spinea, in via Mantegna, nel quartiere Graspo de Ua.

Un omicidio che Ianosi, 35 anni, romeno, saldatore della Piping System di Mirano, ha subito confessato nella telefonata ai carabinieri.

L’AUTO-PUNIZIONE

Parlando con l’avvocato Francesco Neri Nardi del suo ferimento in carcere a Venezia, Ianosi ha allontanato l’idea di un regolamento di conti legato al codice d’onore interno al carcere secondo cui devono essere puniti i detenuti accusati di violenze sulle donne e sui bambini. Il trentacinquenne saldatore ha raccontato del servizio del telegiornale di aver trovato un manico di scopa nel bagno della cella e di aver pensato a infliggersi del male per essersi reso conto di quanto fatto alla donna con cui conviveva e con la quale aveva avuto anche un figlio. Nessuna spinta esterna, quindi, solo una decisione personale che lo ha portato in coma. La versione dell’uomo è stata considerata credibile e da giovedì scorso Iaanosi è in una cella con altri detenuti e varrà fatto partecipare ad un programma di socializzazione interna al penitenziario di Venezia, dov’è stato anche attivato il protocollo anti-lesionismo sull’intera popolazione carceraria che scatta ogni volta in cui un detenuto si ferisce.

IL FEMMINICIDIO

Il trentacinquenne, dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del gip durante l’udienza di convalida dell’arresto, non ha più parlato con il pm che lo accusa di omicidio volontario aggravato dal legame della convivenza. Pochi giorni dopo l’arresto c’era stato l’episodio di autolesionismo e tutto si era in qualche modo congelato in attesa di capire i fatti successi in carcere. Ora che il trentacinquenne è stato dimesso ed è di nuovo in cella è possibile che il faccia a faccia con il magistrato sia messo in agenda. Questo mentre la difesa - che sta cercando di metterlo in contatto telefonico con la madre - punterà a chiedere una perizia psichiatrica in modo da poter dimostrare come la sera tra il 22 e il 23 settembre Alexandru Ianosi non era in lui mentre sferrava decine di coltellate verso la donna. Due i colpi mortali, tra il torace e il ventre, mentre altre sono sulle braccia e sulle mani, segno che lei aveva provato a difendersi.

La sera del 22 settembre Lilia Patranjel aveva preso il coraggio a due mani per dire al suo compagno che l’avrebbe lasciato, stanca delle violenze che lei aveva denunciato, salvo poi ritirare la querela e bloccare l’iter giudiziario. L’uomo aveva reagito con violenza scagliandosi contro di lei con un coltello da cucina e tentando di ferirla il più vicino al cuore, nel salotto della loro casa, dove Lilia è stata uccisa attorno a mezzanotte. «Non capisco perché l’ho fatto, sono semplicemente devastato dai sensi di colpa. Dopo averla uccisa ho un vuoto di memoria, sono svenuto» aveva detto entrando in carcere, dopo essersi avvalso davanti ai carabinieri, chiamati alle 5 di venerdì mattina. «Venitemi a prendere, ho ucciso la mia compagna».

Ultimo aggiornamento: 16:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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