Sistema Mose, via chi non ci stava
«Il dirigente "fatto fuori" in una notte»

Domenica 10 Luglio 2016 di Gianluca Amadori
Giovanni Mazzacurati
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«Ad un certo punto non c’era più bisogno del "sistema" messo in piedi dal Consorzio Venezia Nuova: il Mose era già avviato, le opere straordinarie. Ma nessuno aveva il coraggio di andare da Mazzacurati e dire: basta! L’unico che ci provò fu l’allora vicedirettore, Roberto Pravatà, ma fu estromesso in una notte...». 

Mose - Il Gazzettino.it

Piergiorgio Baita, all’epoca presidente della Mantovani, ha raccontato questo episodio nel corso dell’udienza del processo Mose di giovedì scorso per far capire quanto potente fosse Giovanni Mazzacurati, e di come fosse lui a disporre, da "re" incontrastato, tutte le decisioni all’interno del Cvn. Comprese quelle relative al "sistema" costruito su "mazzette", favori e prebende di ogni tipo al fine di garantire al progetto Mose un consenso unanime e, di conseguenza, una corsia preferenziale al finanziamento, e quindi alla conclusione dei lavori.
 
La versione di Baita coincide, almeno finora, con quelle degli altri testimoni ascoltati dal Tribunale presieduto da Stefano Manduzio, primo fra tutti l’ex presidente del Consorzio Coveco, Pio Savioli, il quale ha confermato che nel 2013, prima che venisse arrestato, Mazzacurati comandava a pieno titolo: «Non sono un medico, ma la testa c’era, eccome», ha dichiarato, spiegando che all’epoca il presidente del Cvn era perfettamente lucido e determinato in ciò che faceva. Poco prima di finire ai domiciliari per turbativa d’asta, Mazzacurati si era dimesso e fu lo stesso Savioli a portare in Consiglio d’amministrazione la proposta di liquidargli una buona uscita di ben 7 milioni di euro.
Davanti ai giudici, rispondendo alle domande del difensore dell’ex ministro Altero Matteoli, Baita ha spiegato nel dettaglio come fu fatto fuori Pravatà. Mazzacurati scoprì che l’allora vicedirettore stava contattando uno ad uno tutti i soci del Cvn per tentare di "scalzarlo", «Mazzacurati ci convocò e pretese che Pravatà fosse allontanato immediatamente - ha spiegato l’allora presidente della Mantovani - Insistette molto perchè accettassimo le sue condizioni: oltre al trattamento di fine rapporto, che gli spettava di diritto, gli fu data una ulteriore buonauscita. Molto elevata. Nessuno di noi poteva dire di no a Mazzacurati».

Baita ha sostenuto che Pravatà venne liquidato con una montagna di soldi («Abbiamo pagato l'iradiddio», mise a verbale il 17 settembre del 2013) perché Mazzacurati aveva paura di quel che sapeva. «Non so che cosa sapesse Pravatà: posso dire che Mazzacurati temeva di essere ricattato e ce lo disse chiaramente. E così pagammo».
Lo stesso Pravatà, ascoltato dagli investigatori nel 2014, riferì di essere stato allontanato dal Consorzio poiché in disaccordo con i metodi utilizzati da Mazzacurati: «Ho appreso e sono venuto a conoscenza, spesso casualmente, di molti episodi di rilevanza penale», scrisse in un memoriale. Nel 2008 Pravatà fu messo alla porta dalla sera alla mattina, autorizzato a prelevare dal suo ufficio soltanto gli effetti personali, sotto la sorveglianza di una guardia giurata, per evitare che potesse portar via qualche documento "scottante".

Il processo proseguirà dopo l’estate, il 15 settembre. Baita sarà controinterrogato dai difensori degli otto imputati; poi i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini potranno concludere con le ultime domande.
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