Quella lettera di denuncia di Sissy: «Fatti gravi, le mie colleghe...» /Foto

Sabato 26 Gennaio 2019 di Nicola Munaro
Quella lettera di denuncia di Sissy: «Fatti gravi, le mie colleghe...»
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I dubbi sul pc, restituito completamente resettato e con una data antica all'accensione: 25 dicembre 2007. Quasi nove anni prima dei fatti. Gli interrogativi sulle denunce «mai prese in considerazione», sull'assenza delle tracce di dna e di sangue sulla pistola incriminata. E ancora i tanti perché, le «porcherie che Sissy stava scoprendo e che la direttrice del carcere voleva tenere nascoste». Fino alla domanda principe: «Chi ha sparato quel colpo? Perché si parla troppo facilmente di suicidio?». Punti oscuri che affollano la mente di Salvatore Trovato Mazza, il papà di Maria Teresa, l'agente di polizia penitenziaria del carcere femminile della Giudecca, morta il 12 gennaio scorso dopo due anni e due mesi di coma per un colpo sparato l'1 novembre 2016 all'interno di un ascensore del reparto di Pediatria dell'ospedale Civile di Venezia.
 

 



Dubbi, quelli di Salvatore, che nascono da una lettera scritta da Sissy - così la chiamavano - il 30 settembre 2016, un mese e un giorno prima di quel colpo che aveva cambiato tutto. Nella lettera (ora agli atti) indirizzata all'allora direttrice del penitenziario femminile di Venezia, Gabriella Straffi, l'agente Trovato Mazza fa nomi e cognomi di detenute che le avevano «raccontato fatti gravi che riguardano le mie colleghe».




Temi di cui lei aveva parlato con un'ispettrice (citata per nome nei due fogli, ndr)  che a sua volta l'aveva consigliata di parlarne «al più presto» con la stessa direttrice. Anche perché il 29 settembre 2016 («in data di ieri», si legge testuale nella lettera) Sissy raccontava di essere stata fermata da altre quattro detenute (di cui fa i nomi) «che singolarmente mi hanno raccontato alcuni fatti». Confessioni tramutate in appunti «per non dimenticare quanto mi hanno detto» e avvertendo la direttrice Straffi che una delle stesse detenute «ha anche firmato quanto scritto». «Ieri (dalla data della lettera si capisce che Sissy fa riferimento al 29 settembre 2016, ndr) ho chiesto di potermi fermare sperando di poter parlare con la signoria vostra (la direttrice, ndr). Tutte le detenute hanno raccontato di essere a disagio per quanto hanno visto». 
Che per lei si trattasse di informazioni di primaria importanza, lo si capisce dalla firma. Prima di vergare, in corsivo, con il suo nome, Maria Teresa Trovato Mazza, scrive «per dovere», come a sottolineare l'urgenza di un colloquio mai avvenuto. Ma di cosa voleva parlare alla sua direttrice? Contattata dal sito Fanpage.it, una detenuta ha spiegato come l'agente avesse scoperto un giro di cocaina all'interno del carcere della Giudecca, introdotta attraverso le lenzuola che vengono lavate dalle detenute per conto di molte strutture veneziane. E in lavanderia avrebbe scoperto lo stupefacente che poi veniva nascosto nelle plafoniere della cella 2, dove i cani antidroga non potevano arrivare. 
IL DUBBIOUn mese dopo quella lettera, Sissy veniva trovata agonizzante nell'ascensore del Civile. Era, quello, l'inizio di un calvario senza fine con la morte di Maria Teresa divenuta il sale su una ferita profonda e già lacerata. «Cerco solo la verità, verrò a Venezia e sono disposto a darmi fuoco in piazza per Sissy, per la verità», ha confessato ieri il padre. «Mi chiedo come mai siano state disposte delle indagini soltanto ora. Sono passati ventisei mesi. Il pc era dentro il carcere il giorno della disgrazia, era il suo computer di lavoro, su cui si annotava ogni cosa e noi l'abbiamo trovato a casa sua: chi l'ha portato lì? Chi l'ha ripulito? Siamo stati noi a metterlo in mano agli inquirenti ancora due anni fa». Un immobilismo di cui ora la famiglia di Sissy chiede conto: «A Venezia non devono fare le indagini, da lì non verrà mai fuori la verità: non perché non siano in grado, ma perché c'è qualcuno che vuole coprire - ha spiegato Salvatore Trovato Mazza - Tutti sanno cosa succede alla Giudecca, dove un medico ha patteggiato perché faceva sesso con le detenute. La direttrice, che Sissy voleva a tutti i costi incontrare, però ce l'aveva con mia figlia perché stava portando a galla cose che lei aveva nascosto». Quello a cui i genitori della ragazza non credono, è l'ipotesi di suicidio: «Il proiettile è entrato da dietro l'orecchio, non può aver fatto da sola, qualcuno le ha sparato. Ma non sono state fatte le indagini, anche la perizia medico-legale dopo lo sparo è stata fatta sulle carte, senza guardare i segni di bruciatura sulla testa di mia figlia. I rilievi fotografici sono stati fatti solo dopo, quando quella parte di cute era stata tolta. Per questo ci siamo scagliati contro il medico legale quando è venuto a Reggio Calabria per l'autopsia. La mancanza dei rilievi fotografici sulle bruciature dello sparo sono stati l'inizio dei punti oscuri di questa inchiesta». Ora la battaglia, è tutta per far emergere la realtà dei fatti. «È Sissy che mi dà la forza di lottare - ha concluso Salvatore - Di lei mi resta tutto, è viva in me». E nei giorni scorsi gli amici di Sissy hanno lanciato una petizione online (che ieri ha sfondato il muro delle 2.400 firme) diretta al Presidente Sergio Mattarella, al ministro dell'Interno Matteo Salvini e al comando dei carabinieri di Venezia per far luce sulla storia.

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