Silvio Pellico, quel legame indistricabile e l'amore per la "Zanze"

Martedì 14 Luglio 2020 di Alberto Toso Fei
Silvio Pellico visto da Matteo Bergamelli
A Venezia trascorse solamente pochi mesi della sua vita, tra i peggiori della sua intera esistenza. Eppure il legame tra Silvio Pellico e la città è indistricabile, complice anche quella che è probabilmente la sua opera più celebre, “Le mie prigioni”, in cui la descrizione del suo isolamento nei Piombi – e del suo amore poco più che platonico per la “Zanze”, la giovane figlia del custode del carcere – è diventata una delle pagine più alte della letteratura dell'Ottocento, oltre che un manifesto della lotta per l'indipendenza dal giogo straniero.
Al momento del suo arresto a Milano, il 13 ottobre del 1820, Pellico aveva già scritto alcune opere di successo, come la “Francesca da Rimini”, e dirigeva “Il Conciliatore”, rivista di idee tendenzialmente risorgimentali. Ma la sua appartenenza alla setta segreta dei “Federati” e l'intercettazione di alcune lettere compromettenti di Pietro Maroncelli non gli fecero ottenere sconti da parte della polizia austriaca che lo imprigionò con lo stesso Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri congiurati.
Pellico fu condotto a Venezia, dove fu imprigionato dapprima ai Piombi e poi a San Michele in Isola, dove rimase fino al 20 febbraio 1822. Il giorno successivo fu letta la sentenza di condanna a morte, commutata in venti anni di carcere duro per Maroncelli e 15 per Pellico. A fine marzo i due furono condotti nella fortezza dello Spielberg, in Moravia. Al momento dell'arresto aveva 31 anni.
Nato a Saluzzo il 24 giugno 1789, secondogenito del commerciante Onorato Pellico e di Margherita Tournier, originaria della Savoia, Silvio Pellico e i suoi quattro fratelli ricevettero un'educazione rigorosamente cattolica. Il fratello minore Francesco e le sorelle Giuseppina e Maria Angiola presero i voti; il primogenito Luigi tentò invece la carriera politica, condividendo le idee di Silvio e le sue stesse passioni letterarie. Pellico – la cui religiosità si risvegliò durante la prigionia – si formò a Pinerolo e poi a Torino, prima di trasferirsi temporaneamente a Lione, mostrando scarso attaccamento agli affari di famiglia. Fu subito interessato agli studi classici, e divenne amico di Ugo Foscolo. “La mia stanza – racconta ne “Le mie prigioni” – guardava sul tetto di piombo della chiesa di San Marco. […] Eravamo ancora in primavera, e già le zanzare si moltiplicavano, posso proprio dire, spaventosamente, (così) come s'infocò l'aria del covile ch'io abitava. Io non avea mai avuto idea d'un calore sì opprimente. A tanto supplizio s'aggiungeano le zanzare in tal moltitudine, che io n'era coperto; il letto, il tavolino, la sedia, il suolo, le pareti, la volta, tutto n'era coperto”.
Nel delirio di quei giorni, l'unico sollievo di cui godeva il prigioniero erano le visite solerti della quindicenne Angela, “Zanze” appunto, della quale Pellico – che aveva visto interrompersi con l'arresto la relazione con l'attrice Teresa Marchionni e che trovò una relazione stabile solo molti anni più tardi con la nobildonna Cristina Archinto Trivulzio – finì per invaghirsi.
Lei negli anni successivi si affrettò a smentire qualsiasi coinvolgimento, ma nella realtà – seppure caste – le visite alla cella di Silvio Pellico (che la definì scherzosamente “Venezianina adolescente sbirra”) furono molto più che semplici consegne di cibo.
I due trascorsero molto tempo in conversazione e lettura. “Se il sentimento ch'ella mi destò – scrisse ancora nel libro – non fu quello che si chiama amore, confesso che alquanto vi s'avvicinava. […] Quando io udiva aprir la porta, il cuore mi battea, sperando che fosse la Zanze; e se non era ella, io non era contento; e se era, il cuore mi battea più forte e si rallegrava”. Ma fu soprattutto la cronaca della dura esperienza carceraria (il libro fu scritto dopo la liberazione dallo Spielberg, avvenuta nel 1830) che diede grande popolarità a “Le mie prigioni” e finì per esercitare una notevole influenza sul movimento risorgimentale. Il cancelliere di stato Metternich ammise che il libro danneggiò l'Austria più di una battaglia persa. Pellico scrisse diverse altre opere dopo la scarcerazione. Morì il 31 gennaio 1854. È sepolto nel cimitero monumentale di Torino.
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