Il signore del Mose: «Pochi uomini e soldi, abbiamo rischiato lo stop»

Lunedì 3 Gennaio 2022 di Roberta Brunetti
L'ingegner Davide Sernaglia
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VENEZIA - Nel 2013, quando ci furono le prime prove in assoluto di sollevamento delle dighe mobili, quel giovane ingegnere arrivato da poco fu mandato nella galleria. All’epoca non c’era ancora una sala di controllo, tanto meno la parete di schermi giganti: le prime quattro paratoie furono sollevate con un pc portatile, sistemato appunto nel tunnel subacqueo. 
«Non vedevamo quel che accadeva sopra - ricorda l’ingegnere Davide Sernaglia - e ci fu anche un imprevisto.

L’indicazione era di pompare poca aria, c’era la paura di spaccare tutto. Ma una paratoia, la numero quattro, non si sollevava. Si scoprì poi che mancava una saldatura, quindi perdeva aria. Le autorità sopra aspettavano, sentii che dicevano di vedere delle bolle. Capii che dell’aria usciva, che per sollevarla dovevo spingere al massimo. Aprii le valvole al 100%. E così si alzò. Per vedere il sollevamento salii le scale di corsa. Fu un’emozione».

Era la prima volta. Otto anni dopo, con un bagaglio di esperienza ben maggiore, ma la stessa determinazione, questo tecnico con doppia laurea in ingegneria e fisica, è diventato il responsabile delle operazioni di sollevamento del Mose. Quando si decide di alzare il sistema delle 78 dighe gialle, è lui che organizza. Sue le prime volte del Mose contro l’acqua alta nell’autunno scorso. Sua la “regia” anche di questa seconda stagione di salvaguardia. Mesi difficili, non tanto per gli eventi di marea, quanto per la situazione generale, con il Consorzio Venezia Nuova in concordato, i lavori di completamento dell’opera bloccati da aprile, i lavoratori delle squadre di sollevamento che hanno dovuto attendere lo stipendio per mesi.


Partiamo dai numeri: quanti sollevamenti finora?
«Dal 5 ottobre abbiamo sollevato 13 volte, ma ci sono stati anche 3 falsi allarmi. Quando siamo andati alle bocche di porto, abbiamo attivato il sistema, poi le condizioni meteo sono cambiate in meglio e abbiamo spento tutto».
 

Come va con il Mose ancora incompleto?
«Gli impianti sono al punto dell’anno scorso. Un po’ di incertezza c’è sempre. Poi ho perso tanti uomini. E di bravi! Con il concordato e i dubbi sul futuro, ci sono stati sette licenziamenti di tecnici che erano stati formati per coordinare i sollevamenti. Figure importanti, da sostituire. Non è stata una passeggiata».
 

Il momento più difficile?
«A inizio dicembre, quando ai licenziamenti si sono sommate le assenze per Covid. A un certo punto, tra contagiati e quarantene, ho avuto 10 persone in meno. Su un totale di 40 coordinatori, divisi in due turni, 10 sono tanti. Mi sono messo a premere i pulsanti anch’io e ho usato il ponte radio dell’esercito per dirigere i meno esperti dalla control room del Lido. Poi le assenze sono sempre state 4 o 5, ancora tante, ma dopo aver lavorato con 10 uomini in meno non ho avuto più paura».
 

E gli eventi da fronteggiare, come sono stati?
«Le altezze non eccezionali. Meno dell’anno scorso. Forse il sollevamento più critico è stato quello dell’8 dicembre, c’era un vento importante, una barca che chiamava soccorso in mare. Me la sono vista brutta. Poi il vento si è spento improvvisamente e la marea si è fermata attorno al metro. Il vento è un elemento strano, le previsioni sono alla mezz’ora. Stiamo imparando molto».
 

Rispetto all’anno scorso cosa è cambiato nella gestione dei sollevamenti?
«Ho lavorato più sull’automazione. L’anno scorso avevamo delle persone dedicate alla logistica. Ora ho creato un foglio elettronico per l’allerta, l’invio delle mail, l’attivazione dell’intero sistema. Prima si faceva tutto a mano. Ora c’è un coordinamento anche tra Cvn, Comar e Thetis, le tre società coinvolte. Il flusso di lavoro propedeutico al sollevamento è automatizzato. Va tutto da solo».
 

Altro tema: la manutenzione. Anche questa si è fermata con il blocco dei lavori, c’era preoccupazione...
«Gli impianti hanno avuto poca manutenzione. Ma gli operai di Comar si sono arrangiati per sostituire questo o quel strumento. Con il concordato non puoi acquistare nulla. Anche per comprare un bullone dovevi passare per il Tribunale. A un certo punto eravamo senza benzina per le barche».
 

Questa incertezza quanto sta pesando?
«All’inizio tutti volevano fermarsi, bloccare i sollevamenti, se non arrivavano gli stipendi. Non è facile avere il campanello d’allarme alle 3 del mattino, per andare a lavorare nei tunnel, senza sapere se ti pagano o no. Alla fine, però, hanno pesato un po’ la fiducia nel liquidatore, Massimo Miani, che ha organizzato degli incontri con tutti, un po’ il senso civico, rispetto a un’opera che mette in salvo Venezia dall’acqua alta. Il senso civico qui ce l’hanno davvero tutti, anche l’operaio meno retribuito. Ora si è creata una certa fiducia, la maggior parte dei pagamenti è stata fatta».
 

Si attende sempre il completamento dell’opera con gli impianti definitivi. Cosa cambierà?
«Il Mose funzionerà esattamente come adesso. Per usarlo finora abbiamo inserito delle strutture provvisionali: collegamenti, tubazioni esterne. Ad aprile, quando finirà la stagione dell’acqua alta e dovranno ripartire i lavori, si rischia un intasamento del cantiere. Le imprese avranno fretta di smontare il provvisorio per realizzare il definitivo ed essere così pagate. Ma nel frattempo noi dovremo organizzare comunque dei test di manutenzione, per cui ci servono degli impianti funzionanti. Ad ottobre, poi, si ricomincia con la salvaguardia. I tempi sono strettissimi. Per evitare interferenze servirà una bella programmazione».
 

Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 07:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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