CHIOGGIA - Arrivati dal Bangladesh piene di aspettative, si erano ritrovati a fare una vita da schiavi. 12 ore al giorno di lavoro sui campi, sette giorni su sette.
IL PATTEGGIAMENTO
Ieri l'udienza davanti al gup di Venezia, Laura Alcaro. Hakim ha scelto di non affrontare un processo, preferendo chiudere i suoi conti con la giustizia con un patteggiamento. Il suo difensore, l'avvocato Giorgio Pietramala, e il pubblico ministero, Daniela Moroni, si sono accordati per una pena di 2 anni, con la sospensione condizionale, poi applicata dal giudice. La parola fine sul versante penale di un caso emblematico, spia di un fenomeno preoccupante.
LA PRIMA DENUNCIA
Stavolta a consentire di avviare le indagini, è stata la denuncia di una delle vittime, finita al pronto soccorso di Chioggia nel 2018. L'uomo aveva raccontato di aver lavorato per lunghi mesi per Hakim, che gli aveva promesso un contratto, indispensabile per il permesso di soggiorno, e una paga di 600 euro mensili. Invece non erano arrivati né l'uno, né l'altra. Solo poco più di un centinaio di euro, dopo mesi di lavoro. A quel punto, disperato, l'uomo era andato dal datore di lavoro per pretendere soldi e contratto, ma era stato picchiato. E proprio al pronto soccorso aveva deciso di sporgere denuncia ai carabinieri. Dopo quella prima segnalazione, i militari dell'Arma erano andati ad appostarsi nel campo indicato dal bengalese, in località Sant'Anna. E qui avevano visto le due roulotte-dormitori, con i lavoranti che si alzavano presto e usavano il fossato come servizi igienici. Un sistema che - secondo la ricostruzione del capo d'imputazione - sarebbe andato avanti dal 2016 al 2018. Hakim, quale titolare di una «ditta operante nel settore della coltivazione e raccolta di prodotti agricoli», reclutava suoi connazionali «approfittando dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità», legata alla necessità di ottenere un permesso di soggiorno, «con l'inganno di instaurare con loro un regolare rapporto di lavoro», si legge sempre nel capo d'imputazione, che cita le 10-12 ore di lavoro al giorno, senza permessi settimanali, le «paghe esigue e saltuarie», le roulotte messe a disposizione, senza luce né acqua, dove i malcapitati vivevano in «condizioni umanamente degradanti».