Stipendio d'oro, il giudice "licenzia" il manager di un'azienda

Giovedì 4 Luglio 2019 di Davide Tamiello
La sede dell'azienda
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SAN DONA' DI PIAVE - Da amministratore unico della società, si era aumentato lo stipendio da 180 a 540 mila euro all’anno. Aveva, inoltre, dato alla figlia la casa che avrebbe dovuto essere del custode dell’azienda, mettendo a carico della ditta anche le utenze. Il modo in cui Claudio Donè ha gestito a lungo la Sefi Ambiente Srl, società che opera nel campo dello smaltimento dei rifiuti e che fattura 14 milioni di euro all’anno, aveva scatenato una vera e propria faida famigliare. La cognata, Mara Niero, socia al 19%, si era rivolta a un legale, l’avvocato Federico Veneri, e l’aveva portato in tribunale. E il giudice alla fine le ha dato ragione: il magistrato della sezione impresa, Liliana  Guzzo, ha firmato un’ordinanza con cui ha revocato Donè dalla carica di amministratore unico, condannandolo ovviamente a pagare anche le spese legali. 
STIPENDIO D’ORO
Donè è a capo della società da una quindicina d’anni, precisamente dal 2005. Nel 2015, però, il suo compenso lievita vertiginosamente e passa da 180mila a 540mila euro all’anno. Uno stipendio ritenuto eccessivo e ingiustificato anche dalla Camera arbitrale di Venezia che, con un lodo del 12 novembre 2018, ne aveva imposto l’annullamento e la restituzione. Donè, quindi, doveva restituire 1,2 milioni di euro nelle casse della Sefi. Stando all’ordinanza del giudice, però, Donè in sede di giudizio «non avrebbe prodotto alcuna documentazione a comprovare l’effettivo pagamento». 
I PRELIEVI
Secondo l’accusa, inoltre, Donè avrebbe distratto per fini personali i fondi dell’azienda: tre prelievi da diecimila euro, in contanti, tra il 2014 e il 2015. L’amministratore unico, di fronte al giudice, ha spiegato la sua versione: quei soldi, in realtà, erano stati utilizzati per spese della ditta, come il pagamento di fornitori. Anche su questo il giudice, però, ha ritenuto che la documentazione fornita dagli avvocati di Donè non fosse sufficiente. «Un documento - scrive il magistrato - che non consente di riconciliare le somme prelevate in contanti con i pagamenti fornitori che sono stati solo genericamente invocati senza specifica indicazione di quali fornitori siano stati pagati con i suddetti prelievi». 
CASA E AUTOMOBILI
L’altra questione sono i benefit aziendali per uso personale. La casa che doveva essere del custode della Sefi, era stata concessa alla figlia e alla sua famiglia. Donè si era difeso sostenendo che fosse tutto in regola, in quanto la donna era una dipendente della ditta. Il problema, per il giudice, era che la figlia non svolgeva mansioni di custode e per quella casa non c’era neppure un contratto d’affitto. In più, l’energia elettrica risultava in conto alla ditta. Poi ci sono le auto aziendali, utilizzate come mezzi privati dallo stesso Donè e dall’altra figlia. 
Un quadro che ha spinto il tribunale, quindi, a togliere dal vertice della società l’amministratore. Starà a Donè e ai suoi legali, quindi, decidere se impugnare il provvedimento. Nel frattempo, la Sefi è senza una guida. «Il prossimo passo, a questo punto, sarà presentare un’istanza per proporre che quel posto vada alla mia assistita», conclude l’avvocato Veneri.
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Ultimo aggiornamento: 18:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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