Ecco la "rete" pericolosa dell'imam espulso: ma la comunità lo difende

Mercoledì 5 Agosto 2020 di Davide De Bortoli / Nicola Munaro
Un'immagine dell'imam tratta dai social
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VENEZIA - È stato monitorato dagli agenti della Digos di Venezia non appena ha messo piede a San Donà. L’hanno osservato da lontano, tenendo sotto controllo ogni sua mossa dal momento che il suo nome era già stato inserito, dal ministero degli Interni, nella lista di quegli imam potenzialmente pericolosi. Perché quelle radici che lo avevano portato ad esporsi in maniera chiara durante una preghiera in una moschea di Berlino, non le aveva poi del tutto dimenticate. 
A SAN DONA’
In sostanza, Abdel-Moez Alaila, l’imam di San Donà di Piave espulso lunedì pomeriggio dall’Italia su decreto del ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, non aveva mai interrotto i propri contatti con alcuni esponenti islamici del mondo salafita considerati dal Viminale un pericolo per la sicurezza del paese. Nel motivare la sua espulsione, scrive il dicastero degli Interni, Abdel-Moez Alaila «si è evidenziato quale seguace di un orientamento religioso islamico improntato al salafismo ortodosso, attestato su posizioni radicali. 
È risultato in contatto con persone, anche di altri Stati europei, gravitanti in ambienti islamisti e dedite a condotte criminali. Ha apertamente palesato il suo pensiero estremista nel corso di un’orazione tenuta presso la moschea salafita ‘al-Nur’ di Berlino».
Orientamenti che l’imam non aveva abbandonato una volta arrivato a San Donà di Piave, pur non avendo mai pronunciato, nei propri sermoni, frasi che potessero lasciare trasparire messaggi d’odio. Il suo legame con il mondo salafita, però, non era mai stato reciso e nella conferma dei canali di comunicazione che l’imam teneva in via privata si sono svolte le indagini delegate alla Digos veneziana che hanno portato alla scoperta di come la guida della comunità sandonatese si fosse reso protagonista di una serie di fatti all’apparenza innocui, ma che letti da occhi esperti avevano tutt’altro significato. 
«C’è stato un lavoro certosino da parte degli inquirenti - ha commentato ieri il questore di Venezia, Maurizio Masciopinto - È l’esempio di come le Digos di tutta Italia sappiano collaborare tra di loro per arrivare ad ottenere risultati importanti in fatto di sicurezza nazionale. C’è stata un’attività abbastanza articolata e di indivuazione della Digos veneziana». Controlli mirati che hanno corroborato la tesi portata avanti nell’inchiesta che ha avuto come atto ultimo l’espulsione dell’imam.
CHI È 
Abdel-Moez Alaila 50 anni, compiuti lo scorso 28 febbraio, è in Italia da circa tredici anni. I musulmani per cui predicava spiegano che a San Donà era arrivato tre anni fa, da solo, mentre la sua famiglia vive in Egitto. Sempre come imam aveva predicato in precedenza a Rovereto e Milano. 
Per mantenersi lavorava part-time per quattro ore al giorno, aiutando una famiglia sandonatese nelle faccende domestiche. «Nel resto del tempo si occupava della moschea - spiega Abdel Hakim Rachki, presidente dell’associazione islamica “La pace” - dove ci sono cinque momenti di preghiera ogni giorno: si comincia all’alba, poi alle 13, alle 17, alle 20.30 in questo periodo e alle 22.30». 
Come era arrivato a San Donà? «Qualcuno della zona aveva avuto modo di conoscerlo e ci aveva riferito che aveva una grande conoscenza del corano. Ma prima che arrivasse mi sono rivolto a Digos e carabinieri per capire se c’era qualcosa sul suo conto e dalla verifica non era emerso nulla. Di regola, infatti, prima di accordarsi con una guida religiosa, gli chiediamo di mandarci i suoi documenti: permesso di soggiorno, carta d’identità, passaporto. Con tutta la documentazione ci rivolgiamo alle autorità proprio per evitare problemi. A quel punto le autorità rispondono sì o no in merito al suo arrivo. Spetta a loro, infatti, la valutazione se quella persona può creare dei problemi. Se si tratta di persone pericolose la loro presenza può diventare un problema per tutti. Mi chiedo come possa essere considerato un terrorista, forse solo perché non ha un lavoro fisso. Ma prendeva uno stipendio e non faceva del male a nessuno. È una persona sincera, non pericolosa. Sto male perché un imam come lui in Italia non c’è. Ci ha sempre detto che dobbiamo pensare a pregare, in base a quanto prevede la nostra religione e favorito il dialogo con la comunità locale». 
Nonostante questo, anche il suo periodo a capo della comunità di San Donà di Piave è finito al centro dell’attenzione della Digos. E se l’espulsione firmata dal ministro Lamorgese è arrivata per fatti legati ad un sermone in Germania, su di lui gli accertamenti della polizia non sono terminati con l’accompagnamento alla frontiera.
Davide De Bortoli
Nicola Munaro
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Ultimo aggiornamento: 08:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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