Tre "tuboni" per salvare tutta Venezia dalle maree: il progetto a camera d'aria delle grandi imprese finito nel nulla

Mercoledì 9 Marzo 2022 di Pieralvise Zorzi
Bocca di Porto di Chioggia

Nel 1972, sei anni dopo la drammatica aqua granda del 1966, un gruppo di blasonate imprese italiane ipotizza la realizzazione di un progetto a camera d'aria per limitare l'accesso delle maree in laguna. Poi tutto finirà nel nulla.

Tre gommoni per salvare Venezia. Sembra una battuta, ma in realtà non lo è stata. Sei anni dopo l'Acqua Granda del 1966 e un anno prima della prima Legge Speciale per Venezia del 1973, compare sul Corriere della Sera la notizia: Alleanza di grandi imprese contro l'acqua alta di Venezia, che annuncia la costituzione a Milano, in Via Stendhal 34, del Consorzio costruttori italiani associati per la protezione dalle acque alte della laguna di Venezia. Così, sotto un unico ombrello si ritrovano il fior fiore delle imprese edilizie e di infrastrutture del tempo: Riva Calzoni di Milano, Acciaierie e Tuberie di Brescia, Officine Elettromeccaniche Galileo di Battaglia Terme; la Società per l'industria e l'elettricità di Roma, la Impresa ing. Guido Lambertini di Bologna, la Micoperi di Milano e la Giuseppe Torno & C. di Milano.
A questa lista di volonterosi manca però un altro Consorzio, che nel 1974 proporrà un progetto lombardo-veneto, che brillerà per creatività e bassissimo impatto ambientale. Si tratta del Consorzio Pirelli/Furlanis Venezia, che metteva sotto lo stesso tetto altre due grandi aziende del settore lavori pubblici, che, in attesa della gara ministeriale per i progetti di difesa della laguna di Venezia, propone un sistema di dighe capaci di bloccare le tre bocche di porto del Lido, di Malamocco e di Chioggia, che assomigliano in modo straordinario a tre giganteschi gommoni affondati.


IL PIANO

Il progetto, presentato con grafica semplice ma molto elegante, è talmente intuitivo da affascinare. Secondo il progettista nella sostanza si trattava di realizzare tre lunghi involucri flessibili riempiti d'acqua posti trasversalmente alle bocche di porto; appoggiati al fondo e parzialmente o totalmente svuotabili in modo da creare al centro una depressione che permettesse il passaggio delle navi.

In sostanza una specie di tuboni sarebbero stati ancorati al fondo da un sistema di tiranti, in modo che, in caso di forte mareggiata, non se ne andassero a spasso per il mare o la laguna evocando immagini da mostro di Loch Ness. Il sistema sarebbe stato realizzato in nylon ricoperto di elastomeri (sostanze naturali o sintetiche che hanno le proprietà chimico-fisiche tipiche del caucciù ndr), con tre sfoghi ciascuno per la fuoriuscita dell'aria durante il riempimento.


IL SISTEMA

A completare l'opera, due gruppi di pompaggio ciascuno proposti dalla Società Termomeccanica Italiana - con tre pompe ad elica di grande portata, azionate da motori diesel e coordinate da quello che negli anni '70 ancora si chiamava calcolatore. Il funzionamento quindi appare semplicissimo: per alzare la diga si sarebbe pompato dell'acqua all'interno in modo da erigere una muraglia flessibile, che assorbendo morbidamente gli urti delle onde, ne avrebbe smorzato l'energia cinetica. In questo modo si sarebbe stati lontani da un eventuale urto verso la struttura rigida. Parallelamente per abbassare la diga poi sarebbe bastato buttare fuori l'acqua precedentemente pompata dal sistema offrendo così un sistema morbido di adattamento al fondo marino grazie alla sua flessibilità.


IL MECCANISMO

Per facilitare l'entrata ed uscita delle navi sarebbe bastato sgonfiare parzialmente il tubone per creare una depressione, una sorta di varco per far passare le navi. Un progetto che, a prima vista apparve economico e semplice: manutenzione facile, nessuna galleria di ispezione, materiale resistente e molto ben collaudato da precedenti esperienze, in più garantito da aziende di prim'ordine, rapidità di installazione e costo molto basso. Un anno dopo il ministero dei Lavori Pubblici con legge n. 404 del 5 agosto 1975 indisse un appalto-concorso internazionale per la progettazione ed esecuzione degli interventi di difesa contro le acque alte. Era finalmente partita la grande gara che non avrà vincitori, perché tutti i progetti vennero giudicati inidonei. Ci vorranno altri due anni prima che il Ministero dei Lavori pubblici, retto allora da Franco Nicolazzi, decidesse di acquistare i progetti presentati e utilizzarli per un nuovo studio di fattibilità, Ma non era ancora finito. Ci volle un altro anno per arrivare al famoso Progettone e l'inizio del lungo iter (non ancora completamente concluso) del Mose, tra ricorsi ed eccezioni, cambi di governo, processi per corruzione con conseguente sparizione di fondi: un percorso ad ostacoli che finirà nel 2015. Quarantun anni dopo! In tutto questo tempo (che diventa 49 anni se ci rifacciamo all'Acqua alta del 1966) non avremo più notizia del supergommone del Consorzio Pirelli-Furlanis Venezia. Finendo nel dimenticatoio dei progetti bizzarri e/o avvenieristici. Ora al posto dei supergommoni neri, ecco ora i cassoni gialli per le paratie alle bocche di porto. L'idea di fondo rimane quella della difesa dal mare. Perchè è pur vero che Venezia ogni anno sposa il mare, ma è bene ricordarsi che è sempre lui che comanda. E ce lo ricorda ad ogni piè sospinto.
 

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