Scarpa, da marinaio a imprenditore di successo del trasporto su gomma

Lunedì 26 Luglio 2021 di Edoardo Pittalis
Scarpa e il suo parco tir
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SCORZE' - Da marinaio veneziano in una flotta mercantile che solcava i mari del mondo a capitano di una flotta di Tir che ogni anno sulle strade d'Europa copre 35 milioni di chilometri, qualcosa come 800 volte il giro della Terra all'Equatore. Tutto parte da Scorzè non lontano da Venezia; sull'enorme piazzale della CST (Compagnia Scarpa Trasporti) domina una torre color celeste, è quella del Gnl, gas naturale liquefatto, che permette di limitare l'impatto ambientale. Vorrebbero assumere subito 50 autisti, ma non li trovano. Spiega Roberto Scarpa, 60 anni: «È un'attività che richiede grande disponibilità di tempo e i giovani non si avvicinano. Un autista mediamente guadagna da 2100 a 2600 euro al mese, ma si tratta di un lavoro che presenta disagi e richiede molto sacrificio: sei fuori sede, sei sempre sul camion, ti devi fermare nei piazzali di sosta. C'è anche il problema del costo per la patente».
Scarpa è presidente della Cst che si estende su 120 mila metri quadrati, conta su 350 mezzi più semirimorchi, ha 450 dipendenti e un fatturato di 70 milioni di euro.

Magazzini a Noale e a Santa Maria di Sala; centri logistici a Milano, Bologna, Firenze e Pomezia. Lavorano soprattutto con la grande distribuzione organizzata e con produttori di generi alimentari, così la pandemia ha creato pochi danni. Quattro figlie, ma solo una, Lisa, lavora con lui. Un fratello, Alessandro, lo affianca in azienda. È nonno di due bambini, Alvise e Isabeth. Un'infanzia felice scossa dalla malattia del padre Giancarlo che era bancario della Cassa di Risparmio di Venezia. L'uomo a trent'anni fu costretto alla dialisi e il peso della famiglia ricadde sulle spalle di mamma Anna Maria che aveva a Spinea un laboratorio di maglieria, in un garage, quattro macchine e quattro dipendenti. 


Tutto è cambiato col trasferimento da Venezia alla terraferma?
«Siamo tre fratelli, la nostra è stata un'infanzia divertente, ma sino a quando sono arrivati i problemi: papà si è ammalato a 29 anni di nefrite e poco dopo era costretto alla dialisi, noi eravamo piccoli. Allora sono cominciate le grosse difficoltà. Io sono andato in collegio ai Giuseppini e poi alla Cini dove ho studiato al Nautico. Alla fine della scuola mi sono imbarcato, lo avevo già fatto nelle estati precedenti come cameriere per fare un po' di cassa, dovevamo darci tutti da fare per mandare avanti la famiglia. Col diploma mi sono imbarcato per qualche anno nella marina mercantile, cambiavo nave a ogni imbarco, stavamo fuori cinque mesi su petroliere, portacontainer, porta bestiame, anche navi passeggeri. Era quello per il quale avevo studiato, pensavo che sarebbe diventato il lavoro di una vita. Poi la situazione si è complicata, tutto pesava su mia madre, non potevo più stare così lontano. Mi sono anche sposato nel 1985, così sono rimasto a casa e mi sono inventato un nuovo mestiere».


Come era questo nuovo lavoro? 
«Ho chiesto alla compagnia per la quale navigavo se mi dava un'opportunità per restare a terra: era un'azienda di spedizioni con uffici in tutto il mondo, aveva una filiale a Padova e mi dissero che cercavano padroncini che con furgoni facessero il ritiro delle merci, contratto di un anno. Ho coinvolto un compagno di scuola e siamo partiti: nel giro di un anno e mezzo ho preso tutti i ritiri della filale, sono passato da un furgone a cinque, a dieci. Era un settore che girava, si allargava».


Davvero è stato così facile? 
«Siamo stati capaci di onorare gli impegni, la gente ci dava fiducia, si badava molto alla precisione, alla disponibilità, alla qualità. Era un mondo un po' più preciso di adesso nel lavoro. La giornata tipo era quattro del mattino-mezzanotte. Siamo andati avanti costruendo magazzini, ma dopo qualche anno il socio si è ritirato per aprire un'agenzia immobiliare. Sono ripartito dal garage di mia mamma a Crea, frazione di Spinea, un box in alluminio, i camioncini li parcheggiavo in una stradina che aveva un fosso che ho coperto; poi nella via hanno protestato e così ho dovuto ricominciare. In Comune tolleravano ma fino a un certo punto, una notte è venuto a casa il sindaco Loris Manente, aveva tutto Crea contro anche perché in giardino c'era una cisterna di gasolio. Bisognava trovare una soluzione e così indebitandomi ho preso un'area in zona industriale a Mirano, c'era ancora un sistema bancario che dava fiducia ai giovani. Facevo di tutto, una volta un amico mi ha prestato un capannone per far vedere ai clienti che ero in grandi condizioni. Qualche volta bisognava avere anche un po' di fantasia: con lo stesso camion si poteva far credere di averne più di uno. Si guardava la persona più che i mezzi, più che le procedure. Quei clienti li abbiamo ancora. La nostra è stata una trasformazione costante nel tempo, siamo cresciuti con i clienti: se aumenti il numero dei camion devi allargare clientela, evitare chilometraggi a vuoto, avere lavoro dove ti fermi».


Qual è stato il momento più difficile? 
«Il nostro momento critico è stato nel 2008, quando abbiamo incominciato a gettare le basi della nuova sede. Abbiamo affidato il lavoro a un'impresa che usava prodotto riciclato preso da un'azienda che in qualche modo aveva insospettito la Finanza per i materiali. Hanno bloccato il cantiere, fatto i carotaggi, è stata una sorta di calvario in mezzo a normative farraginose. Hanno controllato interamente il prodotto, ogni cosa è risultata regolare, il materiale usato era buono. Ma, nel frattempo, l'immagine nostra era stata danneggiata e i costi erano lievitati, l'azienda edile era fallita. Ci siamo costituiti parte civile, ma il processo è andato in prescrizione. Avevamo perfettamente ragione, ma abbiamo perso quattro anni, qualche milione e molti clienti. Grazie a Dio siamo riusciti a venirne fuori. Ti trovavi contro un muro, non sapevi come interpretare le leggi: ci ha dato l'indicazione giusta un avvocato che si intendeva di bonifiche a Marghera e così siamo usciti da un momento difficile economico e nero. E siamo ripartiti».


E il momento migliore?
«Essere riusciti a venire fuori dal sequestro del cantiere, poi costruire e rimettere tutto in moto. È stato come rinascere una seconda volta. Non ho mai messo in discussione che dovesse finire, anche se qualcuno ci consigliava di lasciar perdere e una banca, nel caos, aveva profittato per raddoppiare il tasso di interesse. Costi quel che costi dovevo finire la sede e siamo ripartiti con più slancio. E con una sensibilità all'ambiente ancora più forte. L'abbiamo sempre avuta, nel 1990 noi a Santa Maria di Sala, d'intesa col Comune, abbiamo piantato 1200 alberi: un bosco che è cresciuto. Negli ultimi anni abbiamo puntato su veicoli nuovi col più basso impatto ambientale. Da due anni abbiamo un distributore Gnl interno, siamo stati tra i primi in Italia ad adottare questo tipo di carburante, gli unici in Veneto di queste dimensioni. Vuol dire essere all'avanguardia sotto l'aspetto tecnologico, contenere l'inquinamento».


E adesso cosa farete?
«Se troviamo, assumiamo subito altri 50 autisti. Le assunzioni non si sono mai fermate, abbiamo ordinato altri 40 camion gnl. Invece, facciamo fatica a reperire i ricambi per i camion, hanno subito un fortissimo aumento, c'è in molte aziende la tendenza a recuperare troppo in fretta quello che hanno perso. Il ferro, per esempio, è raddoppiato, così altre materie prime. L'energia elettrica è aumentata e ce ne siamo accorti subito, la nostra bolletta è esplosa e parliamo di molte decine di migliaia di euro al mese».

Ultimo aggiornamento: 17:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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