Il sacrificio in Ungheria di San Gerardo Sagredo

Lunedì 30 Ottobre 2017 di Alberto Toso Fei
Il sacrificio in Ungheria di San Gerardo Sagredo
Caso unico tra le decine di casate nobili veneziane, ai Sagredo è capitato anche di dare i natali a san Gerardo Sagredo, primo e (finora) unico martire della chiesa veneziana, che è il santo patrono dell’Ungheria. Fu ucciso il 24 settembre 1046, dopo essere stato chiuso in una botte in cui erano stati infissi dei grandi chiodi, fatta poi rotolare dalle colline di Buda fino al Danubio. Monaco benedettino, Gerardo era partito dall’isola di San Giorgio e aveva raggiunto le terre magiare, dove era diventato vescovo di Csanád e precettore del figlio di re Stefano d’Ungheria. Una grande statua del santo, dalla collina di Budapest dove fu lanciato nel fiume, domina e protegge la città ancora oggi.

Per dirla tutta, la sua agiografia è in gran parte derivata da leggende postume, e la notizia della sua appartenenza ai Sagredo (sarebbe appartenuto a una famiglia oriunda della Dalmazia discendente dalla stirpe nobiliare veneziana) compare per la prima volta nel 1516, all’interno della seconda edizione del “Catalogus sanctorum” di Pietro Natali. La “Legenda maior” lo descrive oblato molto giovane, poi monaco benedettino, priore e abate di San Giorgio Maggiore col nome religioso di Gerardo, mutuato da quello del padre morto in Terrasanta; il suo sarebbe stato Giorgio, essendo nato il 23 aprile di un anno imprecisato attorno al 980.

All'età di cinque anni fu compito da una febbre gravissima che ne mise in pericolo la vita, e fu allora che i genitori ne implorarono la salvezza votandolo a San Giorgio, se fosse guarito. Raggiunta l'età adatta, Giorgio/Gerardo varcò dunque le soglie dell'isola monastero, come abbiamo visto scalando negli anni le gerarchie intere al convento.



Lasciato ogni incarico e partito per recarsi in pellegrinaggio a Betlemme, in Palestina, a Zara ebbe un incontro con un abate ungherese che lo convinse invece a recarsi in terra magiara per compiere un’opera di evangelizzazione; Gerardo non arrivò mai in Terrasanta: raggiunse l'Ungheria e finì per essere chiamato a corte da re Stefano “il santo” - primo re di quel paese - che lo mise a fianco del figlio Emerico come “magister”. Nel 1037 re Stefano lo nominò vescovo della appena istituita diocesi di Csanád.

Scrisse diverse opere (è suo con certezza il “Commento a Daniele”); gli viene attribuito un celebre passaggio dei precetti di Stefano il Santo sulla tolleranza dello straniero: “Gli ospiti e gli stranieri – vi si legge – devono occupare un posto nel tuo regno. Accoglili bene e accetta i lavori e le armi che possono recarti; non aver paura delle novità; esse possono servire alla grandezza e alla gloria della tua corte. Lascia agli stranieri la loro lingua e le loro abitudini, giacché il regno che possiede una sola lingua e da per tutto i medesimi costumi è debole e caduco. Non mancare giammai di equità né di bontà verso coloro che sono venuti a stabilirsi qui, trattali con benevolenza, affinché essi si trovino meglio presso di te che in qualsiasi altro paese”.

Nel 1038, alla morte del re, l’Ungheria fu sconvolta dalle lotte per la successione. Dopo aver mantenuto un atteggiamento equidistante per alcuni anni, rimase invischiato in alcuni tentativi di congiura e fu alla fine catturato e fatto precipitare nel Danubio (secondo fonti diverse legato a un carretto). Era appunto il 1046. La sua fama si diffuse molto rapidamente, tanto da meritarsi il titolo di apostolo dell’Ungheria, e meno di quarant’anni più tardi papa Gregorio VII ne riconobbe il culto pubblico. Oggi la sua statua domina Budapest – città che protegge – dall'alto del monte Kelen, da dove fu lanciato nel fiume e che prese successivamente il suo nome; ma il suo corpo riposa a Murano, dove giunse nel corso del Seicento, nella basilica dei Santi Maria e Donato. Il suo sepolcro è meta costante di cittadini ungheresi che vengono a rendergli omaggio.
Ultimo aggiornamento: 31 Ottobre, 09:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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