Lord Byron, tre anni per far nascere una leggenda

Lunedì 7 Settembre 2020 di Alberto Toso Fei
George Gordon Byron visto da Matteo Bergamelli
George Gordon Byron (1788-1824) poeta e scrittore 

Quello fra Lord Byron e Venezia fu e rimane un rapporto inscindibile, che in soli tre anni di permanenza dell'inglese in laguna ha lasciato tracce infinite nella storia e nella leggenda. Sulla sua permanenza in città (a parte le decine di amanti) fin da subito entrarono infatti nella mitologia popolare le selvagge galoppate al Lido, le lezioni di armeno al monastero dell’isola di San Lazzaro e le estenuanti nuotate in Canal Grande – sull'onda delle quali fu successivamente istituita una gara di nuoto, la “Coppa Byron” – tentativi coi quali l’eccentrico Lord tentò di sconfiggere la sua perenne (e romantica) malinconia, e dissimulare quel piede destro lievemente deforme che lo accompagnava dalla nascita e che lo costringeva a zoppicare leggermente. Caustico, feroce con quella società inglese dalla quale era stato messo al bando a causa della sua condotta di vita giudicata troppo scandalosa (fu accusato di incesto, adulterio, omosessualità, sodomia e altro ancora: probabilmente era tutto vero e decisamente troppo per la Londra pre-vittoriana), Byron intraprese un suo personalissimo “grand tour”, che lo portò a soggiornare in molti luoghi dell'europa meridionale e a non tornare più in Gran Bretagna. Una vita in fuga che aveva avuto un punto di svolta, molti anni prima: l’inaspettata nomina a Lord nel 1798, quando aveva dieci anni, in seguito all’improvvisa scomparsa di un prozio rimasto senza eredi. George Gordon, sesto barone di Byron di Rochdale, era nato a Londra il 22 gennaio 1788, ed era cresciuto nelle ristrettezze visto che suo padre John aveva pensato bene di morire in circostanze oscure in Francia, nel 1791, dopo aver sperperato il suo patrimonio e gran parte della dote della seconda moglie Catherine Gordon, discendente di una delle più illustri famiglie scozzesi e madre del poeta. Tutto ciò non impedì a Byron di frequentare una delle migliori scuole del Regno Unito, quella di Harrow, nei pressi di Londra, e in seguito il Trinity College di Cambridge.

Quando approdò a Venezia, nel 1816, venne meno in poche ore al suo proposito di evitare gli amori fugaci andando a letto con la moglie ventenne del proprietario della locanda della Frezzeria dove aveva preso la sua prima dimora, e le cose non migliorarono quando un paio d'anni più tardi si trasferì a Ca' Mocenigo sul Canal Grande, sulla quale si diceva vi fossero due entrate: una per le ragazze di Castello, l’altra per quelle di Cannaregio, sebbene la regina incontrastata dell'harem fosse Margarita Cogni, “la Fornaretta”, conosciuta durante una cavalcata in Riviera del Brenta. Byron vi si era installato, come riferì l’amico poeta Percy Shelley in una lettera, con quattordici domestici, due scimmie, cinque gatti, otto cani, una cornacchia, uno sparviero, due pappagalli e una volpe. “E tutta la masnada – annotò Shelley – va in giro negli appartamenti come se ognuno fosse il padrone”. Tra quelle mura o sotto gli alberi di San Lazzaro, Byron scrisse il “Marin Faliero”, “I Due Foscari”, e certamente iniziò il “Don Giovanni”, che senza dubbio doveva trovare ispirazione dalle sue avventure personali, sulle quali era già difficile allora scindere la verità dalla leggenda. Lungo il Canal Grande Lord Byron finì per trovare anche l'amore in Teresa Guiccioli, conosciuta nel salotto letterario di Marina Querini Benzon, per seguire la quale lasciò per sempre Venezia.

Ma il suo spirito irrequieto non poteva permettergli una vita tranquilla, e pochi anni più tardi gli costò la vita: George Gordon Byron morì sull’isola greca di Missolungi con la sola compagnia del fedele servitore Titta Falcieri – un gondoliere di Murano che aveva votato la sua vita al seguito del Lord – la sera del 19 Aprile 1824, dopo una breve agonia, consumato dalla febbre e dagli spietati salassi dei medici.
Aveva trentasei anni: si era recato sulle sponde dell’Egeo per sostenere la lotta di indipendenza dei Greci contro l’impero ottomano. Perfino la sua morte fu un capolavoro di Romanticismo: era infatti un lunedì di Pasqua, e una volta spirato, su tutta la regione si scatenò un uragano di proporzioni bibliche. Tra i tanti scritti che rimangono di lui ve n'è uno, l'ode “On Venice”, con curiosi risvolti profetici: “Oh Venezia! Venezia! Quando le marmoree mura / saranno coperte dalle acque, s’alzerà / un pianto dalle Nazioni sulle tue acque sommerse, / un alto lamento lungo il distruggente mare! / Se io, nordico errante, piango su di te / che cosa dovrebbero fare i figli tuoi? tutto fuor che piangere, / eppure essi soltanto mormorano nel loro sonno, / ben diversi dai loro padri”.
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