I fratelli Gentile e Giovanni Bellini, i campioni della pittura veneziana

Lunedì 19 Luglio 2021 di Alberto Toso Fei
Giovanni e Gentile Bellini

Giovanni e Gentile Bellini (1430 circa-1516, 1429-1507) pittori

 Che fossero fratelli è indiscusso e indiscutibile. Ebbero lo stesso padre, il pittore quattrocentesco Jacopo Bellini, che trasmise a entrambi la passione e la sapienza nell'uso del pennello; ciò che gli storici non sono ancora riusciti a stabilire è invece se Gentile e Giovanni Bellini ebbero anche la stessa madre.

La marchigiana Anna Rinversi, moglie di Jacopo, nel redigere il suo testamento nel 1471, dispose infatti che i suoi beni andassero ai figli Niccolò, Gentile e Nicolosia (che fu a sua volta moglie di Andrea Mantegna), ed è dunque possibile che Giovanni fosse nato fuori dal matrimonio.

Questo non gli impedì di diventare il più grande pittore di quello spaccato di fine quattrocento e di inizio del secolo della rinascenza, rompendo gli schemi dell'influenza pittorica bizantina e aprendo la strada a Giorgione (del quale si vocifera, senza conferme, esser stato il primo maestro) e Tiziano. “Il più excelente pitor de Italia”, lo definì il cronista suo contemporaneo Marin Sanudo. Il “Giambellino” era nato a Venezia attorno al 1430 (la data non è certa, mentre è sicuro che il fratello Gentile nacque nel 1429); lavorò ininterrottamente per quasi sessant'anni, e parte della sua grandezza consistette nella capacità di rinnovarsi continuamente, senza tradire mai il legame con la tradizione pittorica di famiglia (già innovativa rispetto alla scuola contemporanea dei muranesi Bartolomeo e Antonio Vivarini), cogliendo gli stimoli di Andrea Mantegna – del quale era cognato –, Piero della Francesca, Antonella da Messina e Albrecht Dürer, che nel 1505 ne intessé le lodi in una lettera, scrivendo “È molto vecchio, ma certo è ancora il miglior pittore di tutti, e io mi sento veramente amico suo”.

Nel 1459 abitò quasi certamente da solo in contrada San Lio, ma probabilmente non lavorava ancora da solo, perché l'anno successivo, assieme al padre Jacopo e il fratello Gentile, lavorò alla “pala Gattamelata” per il Santo di Padova. In quello stesso periodo avviò la serie delle “Madonne con bambino”, tema che caratterizzò l'intera sua carriera, assieme all'altro tema che gli fu caro, quello delle “Pietà”. Senza dimenticare le grandi pale d'altare: la “Pala di Pesaro”, quella “di San Giobbe”, il “Trittico dei Frari”, la “Pala Barbarigo” e quella di San Zaccaria; e poi opere come “la Sacra Conversazione”, oggi alle Gallerie dell'Accademia, così come i ritratti, il più celebre dei quali è probabilmente quello del doge Leonardo Loredan, del 1501, a suo modo rivoluzionario per il passaggio dal profilo a una visione di tre quarti del volto.

Una capacità e una autorevolezza che finirono per sopravanzare le pur eccellentissime capacità di Gentile, col quale mise su bottega nel 1471; Gentile Bellini (il cui nome fu un omaggio del padre a Gentile da Fabriano) fu l'antesignano dei vedutisti veneziani; dal 1466 proseguì la decorazione della Scuola Grande di San Marco iniziata dal padre e fu più tardi nominato cavaliere dall'imperatore Federico III, del quale realizzò un ritratto. Nel 1474 fu il ritrattista ufficiale dei dogi e nel 1479 fu mandato in missione diplomatica a Costantinopoli, alla corte di Maometto II, del quale realizzò un ritratto oggi conservato alla National Gallery di Londra. Secondo una leggenda, il sultano gli ordinò un quadro che rappresentasse la testa tagliata di San Giovanni Battista, Santo riverito come profeta anche dai musulmani. Bellini si mise all’opera e quando l’ebbe completata la presentò al sovrano. Questi apprezzò e lodò la pittura, dichiarandosene soddisfatto, ma fece osservare al pittore come vi fosse un piccolo errore: il collo del Santo era troppo grande, in quanto – sostenne Maometto – dopo esser stato tagliato un collo si ritrae.

Per convincere il pittore, il sultano non esitò a prendere una scimitarra e a tagliare la testa ad uno dei suoi servi. In verità Gentile Bellini tornò con tutti gli onori e la gratitudine di Maometto, che gli regalò una catena d’oro; sul finire del Quattrocento realizzò tre celebri teleri per la Scuola Grande di San Giovani Evangelista. L'ultima sua opera fu la “Predica di San Marco ad Alessandria”, rimasta incompleta per la sua morte, avvenuta il 23 febbraio 1507, che fu terminata da Giovanni, al quale in compenso andarono tutti i preziosi taccuini della bottega del padre Jacopo. Giovanni Bellini, che negli ultimi anni si dedicò anche a temi profani, morì poco meno di dieci anni dopo, il 26 novembre 1516 (“optimo pytor – annotò nel suo diario Marin Sanudo quello stesso giorno – la cui fama è nota per il mondo, et cussi vechio come l'era, dipenzeva per excellentia”). Con lui si chiuse una delle epoche più esaltanti della pittura veneziana. Ma un'altra di incredibile era già alle porte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci