Francesco Semi, il professore che salvò Venezia dalla distruzione

Lunedì 26 Aprile 2021 di Alberto Toso Fei
Francesco Semi visto da Matteo Bergamelli
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Moltissimi veneziani e veneziane lo ricordano come il loro amato professore di italiano e latino al Liceo scientifico “Benedetti”, nel quale insegnò per svariati decenni, fino al 1975; eppure Francesco Semi – che pure aveva combattuto in guerra ed era stato un resistente – per Venezia fu anche altro, molto di più: fu l'uomo che la salvò dalla distruzione.

Tutto si consumò nella mattina del 28 aprile 1945: l'Italia era uscita dall'incubo nazi-fascista da una manciata di giorni, ma a Venezia rimaneva una forte presenza tedesca, la cui ritirata era compromessa dal fatto che le truppe alleate avevano oramai preso il controllo dell'intero nord Italia.

L'esercito del Reich aveva minato le opere pubbliche più importanti e i monumenti simbolo, le batterie di cannoni del Lido erano puntate sulla città. Il Platzkommandantur aveva chiesto attraverso il Patriarca Giovanni Piazza di far uscire indisturbati da Venezia gli occupanti.

Così quella mattina, in Prefettura, i sei uomini del Comitato di Liberazione Nazionale di Venezia, delegati da quello Regionale, si incontrarono per decidere il da farsi; dopo una prima fase di discussione concitata, nella quale si fece strada l'ipotesi di rifiutare la richiesta tedesca e combattere, intervenne Francesco Semi, che con calma e autorevolezza riportò tutti al punto e la votazione si concluse con un solo voto contrario. I tedeschi lasciarono Venezia il giorno stesso. Già nelle ore successive gli Alleati e le formazioni partigiane fecero il loro ingresso in città.

Come moltissime persone che fecero grandi cose per la città, nemmeno Francesco Semi (che aveva 35 anni all'epoca di questi fatti) era nato a Venezia: aveva infatti visto la luce a Capodistria il 24 giugno 1910, quando il territorio faceva ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico, e dopo gli studi classici (e l'annessione dell'Istria al regno d'Italia, nel 1920) si spostò a Padova dove conseguì la laurea in lettere. Il tempo di prestare servizio militare come sottufficiale a Bra, in Piemonte, e di tornare a Capodistria per sposare la fidanzata di sempre – Giorgina Vouch, nel 1933 – e arrivò per lui l'insegnamento: inizialmente al Liceo “Carlo Combi” di Capodistria, lo stesso dove si era formato, e poi a Padova, nel 1934.

Due anni più tardi fu trasferito a Venezia per insegnare italiano e latino all’Istituto Magistrale “Niccolò Tommaseo” per approdare successivamente al “Benedetti”, dove fu professore fino al 1975, anno del pensionamento.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi e prestò servizio nei bersaglieri dapprima a Conegliano, Udine e Biauzzo, per essere poi trasferito a Lubiana, sul fronte Jugoslavo, col grado di tenente. Nell'agosto del 1941 fu inviato a combattere sul fronte dell’Africa Orientale, aggregato alle truppe del generale Rommel. Ferito a un ginocchio dallo scoppio di una granata rientrò in Italia e dopo una breve permanenza in una caserma di Piacenza riuscì a ritornare a Venezia, dopo l'8 settembre 1943, sfuggendo ai rastrellamenti tedeschi, e a riprendere l’insegnamento. Da quel momento iniziò però a partecipare attivamente alla Resistenza, fino alla giornata storica del 28 aprile 1945.

Dopo un breve periodo di attività politica, Francesco Semi ritornò alle sue passioni – l’insegnamento e gli studi letterari – senza fare mai più menzione di quei fatti: saranno i figli Maria Luisa, prima notaio di Venezia e una delle prime d'Italia; Franca, architetto docente all'Iuav, allieva e collaboratrice di Carlo Scarpa e Antonio Alberto, psicoanalista, che ha diretto la Rivista di Psicoanalisi ed è stato presidente dell'Ateneo Veneto, a ritrovare il verbale di quella riunione drammatica dopo la sua morte, tra i documenti conservati in un cassetto.

Semi collaborò alla rivista “Il Ponte” diretta da Piero Calamandrei e ad altre pubblicazioni e si dedicò, specialmente dopo il pensionamento forzatamente anticipato, a 65 anni, a pubblicazioni di carattere storico e filosofico, allo studio dei classici, e all'indagine sui temi della Resistenza e dell’antifascismo, senza mai dimenticare l'Istria e la sua amata Capodistria (la Regione Friuli Venezia Giulia ne ha ristampato recentemente una del 1937, “L’arte in Istria”). Tenne per più di quindici anni una rubrica di carattere linguistico sul “Gazzettino”, giornale del quale resse le redini nei primi concitati giorni successivi alla Liberazione, dal titolo “I segreti della parola”. Morì a Venezia il 7 maggio del Duemila.

Ultimo aggiornamento: 18:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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