Diego Valeri, il padovano cantore della Venezia del sentimento

Lunedì 17 Dicembre 2018 di Alberto Toso Fei
Diego Valeri visto da Matteo Bergamelli
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Diego Valeri (1887-1976) Poeta, accademico e traduttore 
Il cantore della Venezia del sentimento “C'è una città di questo mondo / ma così bella, ma così strana / che pare un gioco di fata morgana / e una visione del cuore profondo. / Avviluppata in un roseo velo / sta con le sue chiese, palazzi, giardini / tutta sospesa tra due turchini / quello del mare, quello del cielo”. Basterebbe forse solo l'incipit della sua poesia “Venezia”, per inquadrare Diego Valeri nel novero di quelli che sono entrati nello spirito della città e sono riusciti a rivelarlo.

Eppure – come accaduto a molti altri nella storia – pur non essendo nato a Venezia (non vi morì neppure), trovò in laguna la sua dimensione umana e poetica migliore; perché Valeri – pur essendo un accademico e un traduttore dal francese di altissimo livello – fu essenzialmente un poeta, e per quello è soprattutto ricordato. Nato a Piove di Sacco – nel padovano – il 25 gennaio 1887 da Abbondio Valeri e Giovanna Fontana, crebbe a Padova con la madre e i due fratelli maggiori e lì si formò alle lettere, tra il liceo “Tito Livio” e l'università. Negli anni di studio conobbe Maria Minozzi, che divenne sua moglie e dalla quale ebbe le figlie Nini e Momi (Giovanna e Marina); a ventuno anni conseguì la laurea e nel 1912 vinse un concorso per la cattedra di italiano e latino nei licei e una borsa di studio per un corso di perfezionamento alla Sorbona e all’École pratique des Hautes Études di Parigi. L'esperienza francese fece di lui un grande traduttore: “Madame Bovary” di Flaubert, “Il rosso e il nero” di Stendhal, le “Favole” di La Fontaine (ma anche Goethe, l'“Ifigenia in Tauride” e diversi lirici tedeschi e francesi); ma fu anche un fine saggista e – ovviamente – un poeta, spesso unendo queste sue anime in opere di grande levatura come la “Guida sentimentale di Venezia” – del 1942 –, inno immortale a un certa Venezia dell'anima.

Tra il 1914 e il 1926 insegnò italiano e latino in molti licei della penisola ma il suo profondo antifascismo, mantenuto con fermezza, finì per allontanarlo dalla scuola: Valeri lavorò per la Sovrintendenza alle Belle Arti di Venezia fino al 25 luglio 1943, quando Mussolini fu arrestato e Badoglio divenne capo del governo; per il suo grande equilibrio, capacità, rettitudine fu chiamato alla direzione de “Il Gazzettino”. Ma presto arrivò l'8 settembre e Diego Valeri, esiliato, si rifugiò in Svizzera, dove condivise i giorni del campo di Mürren, nello Jungfrau, con Amintore Fanfani, Dino e Nelo Risi, Giorgio Strehler.

Dopo la guerra ottenne la revisione del concorso universitario dal quale era rimasto escluso per non essere iscritto al Partito Fascista. Si classificò al primo posto e fu subito chiamato all’Università di Padova come docente di Letteratura francese e Storia della Letteratura italiana.
Nel 1957 uscì di ruolo per raggiunti limiti di età, ma insegnò per un periodo all'Università privata di Lecce. Nello stesso anno divenne Socio dell’Accademia dei Lincei. Nel frattempo ebbe la libertà di scegliere il luogo dove vivere e si trasferì finalmente a Venezia, dove alternò la sua attività in ambito letterario e culturale all'impegno politico che non era mai venuto meno: fu capolista di “Unità Popolare”, raggruppamento che di lì a poco confluì nel Partito Socialista, e fu eletto al Consiglio comunale. Tra il 1969 e il 1973 fu presidente dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti di Venezia. Gli anni Sessanta costituirono la stagione più matura della sua vita: Valeri era ormai un poeta apprezzato, tradotto e pluripremiato, oltre che un letterato di fama; la Francia gli assegnò la Legion d’Onore e, nel 1965, l'università di Ginevra lo laureò honoris causa; nel 1967 vinse il Premio Viareggio con la raccolta “Poesie”. Nel marzo del 1976 fu costretto per motivi di salute ad abbandonare a malincuore la sua “città di pietra e di luce” per trasferirsi dalla figlia a Roma, città nella quale si spense il 27 novembre di quell'anno. Sulla sua casa veneziana è affissa una targa, su cui si legge la prima lirica della poesia “Calle del vento”: “Qui c’è sempre un poco di vento / A tutte le ore di ogni stagione / Un soffio almeno un respiro / Qui da tanti anni sto io ci vivo / E giorno dopo giorno scrivo / Il mio nome sul vento”.
Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 09:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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