Cassandra Fedele (1465-1558), celebre letterata di cui Venezia fu gelosa: il doge le vietò di prendere una cattedra in Spagna

Mercoledì 2 Settembre 2020 di Alberto Toso Fei
Cassandra Fedele (1465-1558),
VENEZIA - I suoi contemporanei la descrissero come una donna di rara bellezza, al punto che Giovanni Bellini si ispirò a lei – allora sedicenne – per un ritratto (oggi perduto). Ma Cassandra Fedele colpì ancora di più per la sua intelligenza, l'eloquio fluente, la scrittura facile; l'umanista toscano Angelo Poliziano, che la incontrò nel 1491, restò talmente colpito “per tanta meraviglia e per tanta novità – come egli stesso scrisse a Cassandra in una lettera che suona come una giustificazione per aver fatto quasi scena muta in sua presenza – che a malapena potei scusare quella mia bambolinaggine”.

Descrivendola in un'altra lettera diretta a Lorenzo il Magnifico si espresse con queste parole: “È cosa, Lorenzo, mirabile, né meno in vulgare che in latino: discretissima et meis oculis etiam bella”, e ancora a lei: “l'unica a venir fuori [fra le donne] sei tu, fanciulla, che maneggi il libro al posto della lana, la penna al posto del belletto, la scrittura al posto del ricamo e che non ricopri la pelle con il bianchetto ma il papiro con l'inchiostro". E davvero tanta ammirazione dovette essere ben riposta, visto che Cassandra Fedele (o Fedeli, secondo altre fonti), al termine della sua formazione precocissima iniziò ad intessere rapporti epistolari con letterati e sovrani come Marco Antonio Sabellico, Eleonora e Ferdinando II d'Aragona, Isabella di Castiglia, Luigi XII di Francia. La Serenissima le chiese in più occasioni ufficiali di pronunciare discorsi e odi.

Ma a tanta bellezza e apparente gradimento sociale non corrispose altrettanta fortuna e – forse – felicità nella vita. Cassandra Fedele trascorse gran parte della sua esistenza in ristrettezze e fu circondata da invidia e diffidenza, né la sorte la aiutò. Quando nel 1492 i reali di Aragona la invitarono a recarsi in Spagna per prendervi una cattedra, le fu formalmente vietato dal doge Agostino Barbarigo di allontanarsi da Venezia: la giovane letterata era diventata una celebrità da esibire nelle occasioni ufficiali, dalla quale derivava alla città fama e prestigio. La donna divenne così in qualche modo prigioniera del suo stesso ruolo.

Figlia di Angelo e di Barbara Leoni, era nata nel 1465 e proveniva da un'importante famiglia milanese trapiantata a Venezia da tempo. Ebbe un fratello, Alessandro, e tre sorelle: Cristina, Maddalena e Polissena. Il padre la avviò ancora bambina agli studi letterari, nei quali Cassandra rivelò doti di apprendimento eccezionali: a dodici anni, quando padroneggiava già il greco e il latino, passò allo studio della dialettica e della filosofia sotto la guida del frate servita Gasparino Borro, letterato e cultore di retorica, e fu di lì a poco attiva nei circoli umanisti dell'università di Padova, intervenendo in dibattiti pubblici su temi filosofici e teologici con studenti e professori. Questo, unitamente alla sua avvenenza, le procurò una incredibile notorietà.

Malgrado questo le sue condizioni economiche furono tutt'altro che floride: nel 1493, dopo aver chiesto a Ludovico il Moro di intervenire presso il Senato veneto, ottenne una piccola sovvenzione. Verso il 1500 – forse anche a causa di queste ristrettezze – si convinse a sposare il medico vicentino Giammaria Mapelli, che seguì a Creta nel 1515. Cinque anni più tardi durante il viaggio di ritorno perdette ogni cosa in un naufragio, salvando a stento la vita. Il marito morì di lì a poco lasciandola talmente in difficoltà da dover indirizzare – il 27 aprile 1521 – una supplica a Leone X, che rimase inascoltata.

Trascorsero così molti anni di studio e di silenzio finché una nuova supplica del 1547 trovò risposta in Paolo III che la creò superiora dell'orfanotrofio di San Domenico a Castello; aveva allora già più di ottant'anni. Una sua opera di quel periodo, “De scientiarum ordine”, andò perduta per l'incuria del tipografo. Nel 1556 la Serenissima la incaricò di tenere l'orazione di benvenuto per accogliere Bona Sforza, vedova del re di Polonia. La regina la ricompensò con una collana presa dal collo di una dama del seguito. Il giorno dopo Cassandra consegnò il gioiello al doge Francesco Venier, giudicandosi indegna di tanto omaggio. Morì ultranovantenne il 24 marzo 1558 e fu sepolta con funerali solenni a San Domenico dove fu deposta nel sarcofago con il capo incoronato di alloro e alcuni dei suoi libri. Sulla tomba fu eretto un monumento funebre con una effigie ricavata dal ritratto di Giovanni Bellini. Ogni cosa è andata perduta con l'abbattimento ottocentesco della chiesa, che sorgeva dove stanno oggi i giardini di Castello.

In una delle sue orazioni giovanili dei tempi di Poliziano scriveva che “le lettere schiariscono il cammino degli uomini attraverso il mondo, i quali altrimenti brancolerebbero nell'oscurità, sottomessi alle leggi imponderabili della fortuna”. Nessuno poteva saperlo meglio di lei.

(illustrazione di Matteo Bergamelli)
Ultimo aggiornamento: 12:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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