Canaletto, il gigante assoluto della scuola vedutista: chi erano i suoi clienti "Vip"

Lunedì 21 Giugno 2021 di Alberto Toso Fei
Giovanni Antonio Canal “Canaletto” ritratto da Matteo Bergamelli

Giovanni Antonio Canal “Canaletto” (1697-1768)

pittore e incisore

Non fu il capostipite della scuola pittorica vedutista veneziana, ma in breve tempo ne divenne l'esponente più autorevole e il più conosciuto in assoluto; e se Giovanni Antonio Canal, questo fu il suo nome, rischia di essere stato sentito poche volte, sarà sufficiente ricordarlo col soprannome che ebbe fin da giovanissimo: Canaletto, forse per la sua bassa statura, o più facilmente perché figlio di un altro pittore, così come Tintoretto a suo tempo fu figlio di un tintore.

Nato a Venezia il 17 (o forse il 18) ottobre 1697 da Bernardo Canal e Artemisia Barbieri, fu proprio il padre – pittore di scenografie teatrali – ad avviare lui e il fratello maggiore Cristoforo alla pittura di fondali per il teatro. Le sue prime commissioni, nel 1716, riguardarono anzi la realizzazione delle scene per alcune opere di Antonio Vivaldi.

La svolta avvenne quasi subito quando, tra il 1718 e il 1720, Giovanni Antonio si trasferì a Roma col padre e il fratello, per realizzare i fondali di due drammi di Alessandro Scarlatti.

Nella capitale del papato conobbe alcuni vedutisti, dai quali prese spunto per alcune sue prime opere: la sua prima produzione paesaggistica non avvenne in laguna, come sarebbe facile supporre, ma coi dipinti “Santa Maria d'Aracoeli e il Campidoglio” e “il Tempio di Antonino e Faustina”. Canaletto aveva fatto la sua scelta, e una volta tornato a Venezia iniziò a dedicarsi a tempo pieno a questa disciplina entrando in contatto coi maggiori vedutisti veneziani, come Luca Carlevarijs e Marco Ricci. In pochi anni iniziò a produrre una serie pregevole di vedute e capricci partoriti dalla sua fantasia, divenendo in breve tempo uno dei pittori più affermati di Venezia.

Il segreto di tanto successo si dovette senza dubbio alla sua indiscutibile abilità, ma anche all'utilizzo della camera ottica, una sorta di grande macchina fotografica ante-litteram con la quale prendeva appunti su dei blocchi con una precisione infallibile. Parte del suo successo fu senza dubbio la cura del dettaglio che costella ogni sua opera, che il pubblico settecentesco (fino a oggi, per la verità) premiò con un gradimento evidente.

Ogni dipinto poteva essere osservato nel suo complesso, con un colpo d’occhio, oppure analizzato, soffermandosi sui dettagli più minuti. La scena rappresentata era molto più che credibile, era “vera”, e metteva lo spettatore in condizione di osservare curioso ogni singola scena che vi si svolgeva. Iniziò anche a dipingere una lunga serie di opere che descrivevano le feste della Repubblica, fornendo un'immagine dello sfarzo delle celebrazioni della Serenissima e lasciandoci nel contempo delle testimonianze incredibili.

I suoi clienti iniziarono a farsi importanti: il mercante lucchese Stefano Conti; il feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg, riformatore dell'esercito veneziano; e Joseph Smith, console britannico a Venezia tra il 1744 e il 1760 nonché ricchissimo collezionista d'arte, che da cliente divenne il principale intermediario tra Canaletto e i facoltosi collezionisti inglesi.

Fu a causa della guerra di successione austriaca, iniziata nel 1741, e del conseguente calo dei visitatori britannici in laguna (maggiori acquirenti dei suoi “souvenir di lusso”), che il pittore decise di trasferirsi a Londra, dove rimase una decina d'anni – tra il 1746 e il 1757 – e dove realizzò un numero considerevole di vedute su commissione per l'aristocrazia britannica, dal Tamigi alla campagna inglese.

Tornato definitivamente a Venezia, affrontò un inevitabile declino, durante il quale si dedicò ai “capricci”, tema che già lo aveva incuriosito in gioventù. A questo periodo risale il celebre “Capriccio Palladiano” (oggi esposto alla Galleria nazionale di Parma), che mostra il Ponte di Rialto dipinto secondo il progetto elaborato a suo tempo da Andrea Palladio e la Basilica Palladiana di Vicenza, che permette di immaginare come sarebbe diventata quell'area di Venezia se il progetto di Palladio fosse stato scelto in luogo di quello di Antonio Da Ponte.

Nel 1763 Giovanni Antonio Canal fu nominato socio dell'Accademia Veneziana di Pittura e Scultura. Da quel momento non si hanno più notizie su di lui fino al 19 aprile 1768, giorno della morte avvenuta dopo “lungo compassionevole male” nella sua casa di corte de la Perina. Fu sepolto nella chiesa di San Lio e tradizione vuole che la sua sepoltura – oggi sconosciuta – si trovi sotto il pavimento della Cappella Gussoni.

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