Adolfo Ottolenghi, il rabbino vittima dell'Olocausto ad Auschwitz

Lunedì 31 Maggio 2021 di Alberto Toso Fei
Adolfo Ottolenghi ritratto da Matteo Bergamelli

Adolfo Ottolenghi (1885-1944) studioso, rabbino capo

Fu un uomo di dialogo e di cultura, ancorato profondamente alle sue radici antiche e capace di lottare con veemenza per i suoi ideali; fu rabbino capo della comunità ebraica veneziana nel periodo più buio della storia, durante l'olocausto; fu deportato assieme ai suoi concittadini ad Auschwitz, da dove non fece più ritorno. Adolfo Ottolenghi, arrivato in laguna dalla natìa Livorno, fu rabbino dal 1911 al 1919, per diventare Rabbino Capo di Venezia dal 18 maggio 1919, quando fu eletto dopo la scomparsa del suo predecessore, Moisè Coen-Porto, fino alla morte avvenuta nel 1944.

Figlio di Abramo Avraham e di Amalia Ventura, era nato dunque nel capoluogo labronico il 30 luglio 1885 e dopo gli studi al collegio rabbinico di Livorno aveva conseguito il titolo di procuratore legale alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pisa, intenzionato e intraprendere la carriera legale.

Nel contempo aveva ricevuto il diploma di “Rav Maskil” nel 1907 e quello di “Hakham” quattro anni più tardi, situandosi nel solco della tradizione ebraica e preparandosi ad assumere compiti da “sapiente” all'interno delle Comunità che lo avrebbero accolto. Fu alla fine di quello stesso anno, il 1911, che a 26 anni ricevette l'incarico di segretario della “Fraterna Generale di Culto e Beneficienza” da parte del Comune di Venezia, assumendo nel contempo il ruolo di rabbino.

Con lui arrivò a Venezia la moglie Regina Tedeschi, sposata a Livorno. Furono anni intensi, trascorsi fra l'altro a occuparsi dei profughi della prima guerra mondiale, dalla quale era stato dispensato per una gravissima miopia che stava rapidamente degenerando verso la cecità. Il suo impegno tra le due guerre fu esclusivamente religioso e culturale: da un lato produsse una serie di opere destinate a recuperare il rapporto storico tra Venezia e la comunità ebraica, con studi sui luoghi e sui personaggi, come quello scritto nel 1932 per i quattrocento anni della Scuola Canton o quello del 1928 sull'antico cimitero ebraico di San Nicolò del Lido, realizzato con Riccardo Pacifici dopo aver decifrato le iscrizioni tombali, passando poi per la figura di Leon da Modena, di Abraham Lattes e suoi rapporti con la Repubblica di Daniele Manin e sul Governo democratico di Venezia e l'abolizione del Ghetto.

Nel contempo, nel 1932, riuscì dopo lunghi anni di insistenze a ottenere la nascita della Scuola ebraica elementare e, l’anno successivo, il riconoscimento della Scuola media. Sempre nel 1933, per i suoi servizi alla città di Venezia e alla sua cultura, fu eletto socio dell’Ateneo Veneto. Ma i tempi erano quelli che erano: pochi anni più tardi le scuole servirono ad accogliere quegli studenti di religione ebraica che – a causa delle leggi razziali – non poterono più accedere alle scuole dello Stato.

Diversi ebrei della Comunità veneziana fuggirono dalla città prima dell'occupazione nazifascista; altri, inclusa Regina Tedeschi Ottolenghi e il figlio più giovane del rabbino, Eugenio, riuscirono a procurarsi documenti falsi grazie a un notaio, Elio Gallina, che aiutò centinaia di persone accogliendo in casa anche l'altro figlio di Ottolenghi, Carlo, con la moglie Annamaria Levi Morenos e i figli Alberto ed Elisabetta, i due nipoti di Adolfo, riuscendo poi a portarli in Svizzera con il nome “Vianello”.

Adolfo Ottolenghi – malgrado la cecità – rimase al suo posto, subentrando anche nell'incarico di presidente della Comunità quando Giuseppe Jona, dopo aver distrutto le liste richieste dalle SS, si suicidò nel settembre del 1943 per evitare di poter tradire i suoi concittadini sotto tortura. Ciò non gli evitò la deportazione a Como con parte degli ebrei veneziani, e un mese in prigione. Solo agli ultra settantenni fu permesso di tornare a Venezia all'inizio del 1944, dove furono rinchiusi nella Casa di Ricovero Israelitica. Gli altri furono deportati nel campo di Fossoli. Ma era solo questione di tempo: il 17 agosto 1944, Ottolenghi fu prelevato insieme agli anziani ospiti della Casa per essere deportato, ultimo atto di una barbarie ignobile. Il 2 settembre il convoglio diretto nel campo di concentramento di Auschwitz partì da Trieste. La data esatta della morte non è conosciuta.

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