Luisa, la "divina marchesa" e femme fatale amata da D'Annunzio: per le sue feste riservava Piazza San Marco

Lunedì 17 Febbraio 2020 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
Luisa Casati Stampa, femme fatale e grande protagonista della Belle epoque, icona dell'indipendenza femminile, musa ispiratrice dei più grandi artisti della sua epoca, creatrice di mode, mecenate e collezionista, ispiratrice per i poeti, performer prima della performing art e opera d’arte vivente. Ma anche nobildonna e ricchissima ereditiera, almeno finché non dilapidò l'intero suo patrimonio.
Jean Cocteau la definì “il più bel serpente del paradiso terrestre“. Per Gabriele D’Annunzio, con cui ebbe una importante relazione, era semplicemente “la Divina Marchesa”. Fra i tanti che se ne innamorarono, Filippo Tommaso Marinetti, Fortunato Depero, Giacomo Balla e Man Ray. Luisa Casati poteva solo scegliere di stare in una città che si sposasse perfettamente con il suo stile e il suo modo di vivere, e scelse Venezia.
Nel 1910 acquistò Ca' Venier dei Leoni, allora abbandonata (che diventerà qualche decennio più tardi dimora di Peggy Guggenheim), e ne fece la sua residenza fino al 1924 lasciando scorrazzare in giardino corvi albini, levrieri, pavoni e ghepardi. Certo, non tutti in città erano pronti alle sue intemerate, come quando riservò l’intera Piazza San Marco per una festa che durò una notte intera; la si poteva facilmente incontrare mentre passeggiava nuda, coperta solamente da un mantello di pelliccia e tenendo a guinzaglio un paio di ghepardi, mentre il servitore d’ordinanza reggeva una torcia in modo che i passanti l'ammirassero. Ma i tempi erano quelli che erano, e lei era quello che era. Colta, bella, ironica, affascinante, eccentrica, bramosa, stravagante, intelligente, corteggiatissima, Luisa Adele Rosa Maria Amman era nata a Milano il 23 gennaio 1881.
Il padre, il conte Alberto Amman, discendente di una famiglia austriaca di origine ebraica, era un imprenditore tessile e Luisa, con la sorella maggiore Francesca, crebbe in un ambiente culturalmente vivace, aiutata anche dalla visione cosmopolita della madre, Lucia Bressi. Tra il 1894 e il 1896 le due sorelle si ritrovarono però improvvisamente orfane: due adolescenti con un patrimonio immenso. Alta, snella, con due bellissimi occhi verdi, nel 1900 Luisa sposò il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino. Ma il matrimonio non faceva per lei e nemmeno la nascita dell'unica figlia Cristina stemperò le sue pulsioni di indipendenza, che portarono al divorzio diversi anni più tardi, nel 1924. Nel frattempo la Divina Marchesa non si era fatta mancare il pubblico ludibrio, ovviamente: l'incontro con Gabriele D'Annunzio fu scandaloso e liberatorio, fatto di passione e compenetrazione allo stato puro. Un amore libero da inutili promesse di eternità, dal quale presero il meglio l’uno dall’altra. Luisa Casati Stampa ne ricavò energie nuove e inaspettate; il suo corpo concepito come un'opera d'arte, i capelli corti color rosso elettrico, gli occhi bistrati di nero, divenne modello per un numero impressionante di artisti. Solo tra gli italiani vi furono Alberto Martini, Umberto Boccioni, Giacomo Balla e Giovanni Boldini, che la ritrasse in dipinti divenuti celebri.
La ditta tedesca Lotte Pritzel fabbricò bambole con le sue fattezze.
La prima guerra mondiale si portò via la Belle Epoque ma non sconvolse più di tanto la marchesa, che continuò a spostarsi tra Londra e Parigi, Capri e gli Stati Uniti. Ma era un tenore di vita che non poteva durare a lungo, e la vita un po' alla volta si riprese tutto: nel 1919 la sorella Fanny morì nella terribile epidemia di spagnola che falcidiò l'Europa; nel 1930, alla soglia dei cinquant’anni, i debiti accumulati arrivarono a toccare i 25 milioni di dollari. Luisa Casati aveva vendette la casa di Venezia (e poi anche quella di Parigi) decidendo di trasferirsi a Londra, dove trascorse gli ultimi anni in una condizione di assoluta indigenza. Il primo giugno 1957, dopo una seduta spiritica, fu colpita da un’emorragia cerebrale. Fu sepolta – secondo le sue volontà – con indosso il mantello bordato di leopardo, gli occhi bistrati di nero e ai piedi l’amato pechinese imbalsamato. Per la sua tomba la nipote Moorea scelse un epitaffio tratto dall'Antonio e Cleopatra di Shakespeare: “L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere stantia la sua varietà infinita”.
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