«Il clima sta cambiando e tira una brutta aria per il radicchio del Veneto»

Giuseppe Boscolo Palo, imprenditore agricolo ed ex direttore del mercato ortofrutticolo di Chioggia

Lunedì 13 Marzo 2023 di Edoardo Pittalis
«Il clima sta cambiando e tira una brutta aria per il radicchio del Veneto»

CHIOGGIA - Il "rosso" cresce soltanto sulla terra che sa di sabbia e di sale tra gli estuari del Brenta e dell'Adige. È acqua che non sta mai ferma, per sei ore cresce e per sei ore cala come vogliono le maree. È terra che deve essere difesa prima che coltivata. A Chioggia e giù fino a Rosolina lo sanno bene. Acqua e terra: «Terra e acqua con lo sconto,/ e non sono ancora pronto», dice una canzone di Francesco De Gregori che prende spunto da una poesia del polesano Gigi Fossati. «Sempre aqua e sempre tera/ da putini che da grandi». "Chioggia" o "Treviso" bastano per indicare il prodotto, non c'è bisogno di specificare che si tratta di radicchio. Il Veneto è la regione che rappresenta il radicchio: copre la metà della produzione nazionale, e un quarto è il rosso e tondo che viene dal Mercato Ortofrutticolo di Brondolo, alle porte di Chioggia.
Ci sono cinque tipi di radicchio veneto, tutti col marchio europeo IGP. Quello di Chioggia è tondo e riconoscibile, c'è un raccolto precoce e uno tardivo. Quelli di Treviso sono il precoce lungo che si chiude e il tardivo che chiamano "il fiore d'inverno": ha bisogno della radice immersa nelle acque risorgive del Sile. Infine: il Castelfranco, aperto con striature rosse, e il Verona "mezzolungo" perché non è a palla né lungo. Adesso che Chioggia è set di film e fiction, il radicchio in tv non manca. Era dai tempi di "Fotografando Patrizia", con la Guerritore, del padovano Samperi, che il "rosso" mancava sullo schermo e non è che lo spettatore facesse attenzione proprio al radicchio.
Alla zucca marina aveva già pensato Carlo Goldoni: nelle "Baruffe chioggiotte": è una fetta di zucca arrostita che le scatena. Non è stato semplice mettere insieme coltivatori che venivano da famiglie che vivevano su campi non più grandi di un ettaro e spesso divisi in "mieri" di appena 250 metri quadrati. Era la terra dei mille casoni perché ogni ortolano aveva il ricovero per gli attrezzi a nord e a sud del fiume: dentro ci stavano la vanga e soprattutto la carriola. «El dio del vilàn l'è la cariola», diceva una canzone di protesta. Molti paesi di ortolani sono diventati turistici, il coltivatore si è trasformato in albergatore. Il radicchio resiste, accanto ai prodotti locali: la carota di Chioggia, la cipolla bianca, la patata, la zucca marina. Tutto finisce nel grande mercato di Brondolo dove si vende la merce ancora con "l'asta a orecchio": il commerciante che vuole acquistare offre un prezzo dentro l'orecchio del banditore, nessuno può sentire.
Arrivano 100 mila quintali di precoce concentrati nei mesi di aprile e maggio e altrettanti di tardivo tra autunno e gennaio.

L'area protetta raccoglie dieci comuni di tre province: Chioggia, Cavarzere, Cona, Codevigo, Correzzola, Rosolina, Loreo, Portoviro, Taglio di Po e Ariano Polesine. Brondolo fattura 6 milioni e mezzo di euro, ci lavorano 200 addetti; ogni giorno arrivano e partono almeno 20 tir. L'amministratore unico, appena confermato per altri quattro anni, è Giuseppe Boscolo Palo, nato a Chioggia, 68 anni, contadino e imprenditore agricolo. Gestisce una società mista, molti privati e il Comune di Chioggia come socio pubblico. Sposato con Roberta, due figli: Mattia, 36 anni, musicista che vive a Roma, è appena stato sul palco di Sanremo con Colapesce; Giacomo, 21 anni, che studia Agraria e gioca da portiere in serie D col Campodarsego.


Era scritto che lei si occupasse di radicchio?
«Non volevo fare il contadino, anche se provengo da una famiglia di ortolani. Ho studiato da perito industriale perché volevo andare in fabbrica, a Porto Marghera. Papà aveva pure le vacche, a Chioggia c'erano mille stalle in mille casoni. C'era la latteria Clodense che poi è confluita nella Latte Busche. Mia sorella più grande andava per le calli a Chioggia a vendere il latte. Poi ci siamo orientati verso il radicchio. Siamo cinque fratelli, con due cognati abbiamo preso terreni in comune ad Ariano Polesine».


Come mai è finito in un mercato ortofrutticolo?
«I miei fratelli coltivavano carote, raccolte a mano, mille lire al chilo. Nel 1983 mi sono sposato e mi hanno fatto un grande regalo e la proposta di lavorare con loro, sono il più giovane. Ho deciso a patto che ci meccanizzassimo: bisognava acquistare lo scavacarote indispensabile su 25 ettari coltivati! Poi siamo arrivati al radicchio, abbiamo affrontato una crisi importante nel 1993, quell'anno mi ha cooptato la Coldiretti, mi avevano sentito una sera parlare ai coltivatori sopra una pila di bancali. Erano i tempi in cui la Democrazia Cristiana stava finendo e i coldiretti perdevano il loro ombrello politico, in cinque mesi sono diventato presidente provinciale. La mia esperienza è finita nel 2004, mi sono dimesso e sono ritornato all'azienda di famiglia. Abbiamo creato un'organizzazione territoriale di produttori, con attività promozionale negli USA e in Europa, tra poco saremo alla Fiera di Berlino. Ci siamo battuti perché il prodotto potesse avere il riconoscimento IGP che è arrivato nel 2008».


L'entrata a Brondolo?
«L'ex sindaco Tiozzo che aveva il problema della ristrutturazione del mercato appena acquistato nel 2007 dal Comune, mi chiese di mettere la mia esperienza al servizio della gestione del mercato che è nato cinquant'anni fa. Nel 2010 sono entrato come presidente della società di Chioggia Ortomercato che ora è a maggioranza privata in modo da non subire influenze dai cambi d'amministrazione. Dobbiamo andare verso la trasformazione in polo agroalimentare».


Quali problemi ci sono?
«Non di produzione: il radicchio nel mercato mondiale si identifica con la regione veneta. Però le cose sono cambiate: quando tutti portavano il prodotto al mercato si parlava di un milione di quintali, oggi arriva un terzo della produzione complessiva. Le aziende strutturate, con 30-50 ettari, trattano direttamente col settore commerciale saltando il mercato e comanda la grande distribuzione. Sto preparando una relazione per dire cosa possiamo fare: l'asta giornaliera rischia di non rispondere ai requisiti, dovrebbe esserci nel Veneto un'unica organizzazione di produttori in grado di fare questa programmazione. L'Europa aveva avvertito trent'anni fa che l'anello debole della catena sarebbe stato il produttore davanti allo strapotere della grande distribuzione organizzata. Nel frattempo, sono cambiate molte cose nella vita sociale agricola del Veneto, a incominciare dalla mancanza di braccianti. Occorre un catasto ortofrutticolo veneto: gli alberi basta contarli, ma è difficile contare le piante di radicchio. Con la Regione e con l'Università di Padova e Veneto Agricoltura stiamo definendo uno studio per riorganizzare il sistema radicchio IGP del Veneto».


Ma non è soltanto un problema di braccianti o di supermercati?
«Negli ultimi cinque anni i cambiamenti climatici si sono evidenziati in maniera brutale: nel 2018 a febbraio e marzo si sono registrate temperature molto alte e poi molto basse, la pianta è un vivente, subisce. Oggi si trapianta il radicchio che sarà pronto ad aprile, protetto coi tunnel che poi vengono tolti alla fine di marzo. Con sbalzi notevoli di temperatura, sotto i tunnel ci sono 30-40°, fuori anche 4 sottozero, la pianta va in stress e il "canon" va in seme: non si forma la palla Nel 2018 il clima ha fatto perdere il 30% della produzione, nel 2020 le grandi gelate di aprile hanno dimezzato frutta e radicchio congelato nei campi. Nel 2022 la siccità, e a Chioggia è stata doppia con problemi di cuneo salino. Per non parlare dell'anno della pandemia: chiusi export, turismo, pause pranzo dei dipendenti, grandi centri di vendita al dettaglio a incominciare dalle Piazze di Padova. Noi eravamo pronti per la raccolta, celle piene, campi pieni: buttato via letteralmente il prodotto. Le situazioni climatiche cambiano tutto, non ci sono più certezze».

Ultimo aggiornamento: 17:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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