Insieme da 70 anni, quell'amore nato alla scuola che ospitava i profughi istriani

Giovedì 9 Luglio 2020 di Claudia Meschini
Insieme da 70 anni, quell'amore nato alla scuola che ospitava i profuchi istrani
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VENEZIA Settant'anni di matrimonio festeggiati oggi in un locale vicino casa, a Santa Maria Nova, in compagnia della numerosa famiglia. A distanza di così tanto tempo da quel lontano 9 luglio del 1950, Liliana e Renato ancora oggi conservano i loro rituali affettivi, il bacio della buonanotte, il tenersi affettuosamente per mano. Lei, 92 anni e due ictus alle spalle, si sposta solo in carrozzina, lui 89, quasi sordo e un deambulatore che l'aiuta a fare qualche passo fuori casa.

Nonostante l'età e gli acciacchi, la voglia di vivere e di stare insieme non manca mai. 
«Si guardano e si capiscono al volo, non hanno bisogno di parlarsi. Quando abbiamo dovuto comperare due letti separati, quelli reclinabili per anziani, hanno fatto una tragedia, non volevano dormire lontani. Per far loro accettare il cambiamento abbiamo dovuto accostare i letti il più possibile, in modo tale che potessero sfiorarsi le mani prima di dormire», racconta Massimo, il primogenito di Liliana Zichi e Renato Riccio. 

Una vita tranquilla, serena la loro, senza grossi scossoni: «I miei genitori sono sempre andati d'accordo, non ricordo liti in famiglia e soprattutto non si contraddicevano mai, non recriminavano. Soprattutto nell'educazione dei figli, ciò che diceva uno diventava sacro per l'altro, si trattavano alla pari».

Nati a Venezia entrambi, Liliana e Renato hanno sempre abitato in città, lei casalinga, lui, figlio di un gondoliere, aveva lavorato a lungo come pasticciere poi, per una sopraggiunta allergia ai lieviti, era diventato custode per conto del Comune. 

«I miei genitori hanno traslocato spesso, la nostra casa - racconta Massimo - era la cosiddetta casetta del custode che poteva essere a Sacca Fisola, quando mio padre custodiva le barche da regata comunali o al Lido quando prestava servizio di guardiania al centro polisportivo dove, tra i vari sport, si praticava anche il tiro al piccione».

Liliana e Renato hanno sei figli, sette nipoti e otto pronipoti. «Gli ultimi, gemelli, sono nati nel 1971 quando io, il primogenito, facevo il servizio militare. Se li portavo in giro in carrozzina pensavano fossero figli miei e non i miei fratellini», sorride Massimo. Una vita stanziale quella di Liliana e Renato, l'esatto contrario di quella avventurosa vissuta da Pietro e Antonia, i genitori di Liliana. 

«Mia mamma e mio papà si sono conosciuti a Venezia, quando la giovane Liliana, esule istriana proveniente da Zara, si era rifugiata con la famiglia al centro profughi allestito nell'attuale scuola Giacinto Gallina», racconta Massimo. Pietro e Antonia, entrambi di origine sarda, avevano già vissuto a Venezia, poi a Zara ed infine erano tornati a Venezia da profughi. 

«Mio nonno durante la prima guerra mondiale militava nella Brigata Sassari, i cosiddetti demoni, il terrore degli austriaci. Perse una gamba in battaglia e quando la Regina Margherita di Savoia, in visita all'ospedale di Roma gli chiese quale fosse il suo più grande desiderio, lui le rispose che avrebbe voluto una licenza per aprire una tabaccheria in Sardegna. Fu esaudito, così tornò a casa, sposò Antonia, che lo accolse a braccia aperte nonostante la sua menomazione, e aprì la tabaccheria che fu la sua prima attività».

Pietro e Antonia erano però spiriti liberi e avventurosi, avviarono insieme, negli anni, diverse attività: «Mia nonna Antonia aveva uno spirito imprenditoriale eccezionale, appena arrivava in un posto fiutava l'atmosfera e si lanciava con il marito nell'attività giusta. Anche i miei nonni così, come i miei genitori, si sono amati fino alla fine», conclude Massimo. 
Ultimo aggiornamento: 15:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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