Mirko, poliziotto in sedia a rotelle che aiuta le vittime del crimine: «La vita va sempre vissuta al massimo»

Mercoledì 24 Marzo 2021 di Vittorio Pierobon
Mirko Schio
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VENEZIA - «È accaduto tutto in pochi secondi - ricorda Mirko - ho sentito una scossa elettrica e un forte dolore. Sono caduto al suolo.

Da terra sono anche riuscito a sparare, ma non li ho colpiti». Racconta con serenità. Eppure quella notte gli ha stravolto l'esistenza, lasciandolo a 23 anni in sedia a rotelle. Ma lui non è un perdente. «La vita che abbiamo a disposizione è una sola, dobbiamo viverla al massimo. Sai cosa pensavo quella notte, quando mi sono risvegliato in un letto d'ospedale? Al mutuo da pagare! Avevo appena fatto un debito con la banca da 100 milioni per acquistare con Nicoletta, la mia fidanzata, un appartamento. Pensavo a come pagare il debito. E pensavo un'altra cosa che può far sorridere nella sua tragicità. Io avevo perso le gambe e quell'appartamento era al terzo piano senza ascensore!» Un carattere fortissimo, un combattente. La sua vita è un esempio, ci insegna che non ci si deve arrendere mai. Da una tragedia è rinato un altro uomo. 


IL NUOVO IMPEGNO

Il poliziotto è diventato l'avvocato delle vittime del crimine e del dovere. Una categoria di persone poco considerate. Presto dimenticate: poliziotti, carabinieri, militari, ma anche civili caduti nell'adempimento del proprio dovere o vittime di attentati, attacchi terroristici. Ce ne sono tante vittime in Italia, oltre 7mila. Storie balzate in prima pagina, quando sono accadute, ma poi finite nell'oblio. Restano le vittime, se sopravvivono, o i loro familiari. Con tutti i problemi burocratici, legali, psicologici e umani che un fatto di sangue lascia in eredità. Gente che spesso non ha i mezzi o la preparazione per fronteggiare questa condizione. Lo Stato c'è, aiuta con pensioni, indennizzi e sussidi. Ma è una giungla di leggi, cavilli, avvocati, ricorsi. Nemmeno per i servitori dello Stato, caduti nell'adempimento del dovere, la legge è uguale per tutti. «Per esempio - chiarisce Schio - fino a pochi anni le pensioni delle vittime del terrorismo non erano esenti dall'Irpef, mentre quelle di chi ha un incidente sul lavoro sono esenti da molti anni. È stato l'allora sottosegretario Zanetti ad aiutarci ad equiparare il trattamento. Noi non cerchiamo privilegi, ma l'applicazione equa delle leggi». 
LA MISSIONE

Schio, pochi anni dopo lo scontro a fuoco, ha fondato una onlus che è diventata il punto di riferimento per migliaia di persone in tutta Italia. Fervicredo, un acronimo che si può leggere in due modi: Feriti e Vittime della criminalità e del Dovere, oppure Fervidamente Credo nella solidarietà. «Abbiamo oltre 1400 iscritti in tutta Italia - spiega Schio che è presidente dell'associazione - Se le facessi un po' di nomi tornerebbero immediatamente alla memoria fatti di cronaca molto noti. Ci sono vittime di attentati terroristici, come quello al Bataclan, familiari di persone uccise dalle Brigate Rosse, e ricordo la famiglia di Giuseppe Taliercio e la moglie del commissario Alfredo Albanese, caduti in missioni di pace all'estero, come Matteo Vanzan, vittime di Unabomber, della mala del Brenta, della banda della Uno bianca, della criminalità organizzata. E ancora vigili del fuoco, civili impegnati in operazioni di salvataggio, malati di tumore della Terra dei fuochi. Tanti iscritti, purtroppo, sono le vedove, oppure gli orfani delle vittime». 
LOTTA CIVILE

Il quartier generale di Fervicredo è a Marghera, nel rione di Catene. Assieme a Schio c'è un gruppo di volontari, ex militari e civili, assistiti da professionisti (avvocati, commercialisti, psicologi) che aiutano gli associati. «In Italia le circolari contano più delle leggi. Ci sono tante incongruenze. I carcerati, quindi spesso i carnefici dei nostri associati, hanno diritto allo studio e possono anche laurearsi a spese dello Stato, mentre per i figli delle vittime, fino a poco tempo fa non c'erano nemmeno borse di studio. La legge spesso è in ritardo. Le mogli dei poliziotti caduti hanno diritto alla reversibilità, alle compagne, non essendo sposate, non spetta nulla. Noi cerchiano di ottenere il rispetto dei diritti. È paradossalmente ci troviamo a lottare contro lo Stato per il quale siamo caduti». 
IL GRAN RIFIUTO

Lo Stato con Mirko Schio è stato sempre presente, come lui stesso riconosce, permettendogli di condurre una vita tranquilla, senza problemi economici. E lo ha anche premiato, insignendolo del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica. Un'onorificenza che questa volta ha accettato. Non fece altrettanto nel 1997, quando rifiutò la medaglia di bronzo al valore civile. Non contestava la medaglia ma l'equo indennizzo di 11 milioni di lire. «Avevo 25 anni, avevo perso la milza e un rene, ero condannato alla sedia a rotelle e lo Stato mi diceva che 11 milioni di lire potevano bastare. Poco più di 5 milioni a gamba. Mi sono sentito umiliato. Per questo ho detto no». Un gesto clamoroso che è servito ad aprire gli occhi al legislatore. La vita di un poliziotto, di un uomo che si sacrifica per lo Stato ha un valore incommensurabile. Non certo 6 mila euro scarsi. Parla con entusiasmo, carico di vitalità come traspare anche dal fisico possente e muscoloso. Un uomo forte in tutti i sensi, aiutato dalla moglie Nicoletta, la fidanzata che lo ha sostenuto quando il mondo gli è crollato addosso. 
LA FAMIGLIA

«Una grande donna - dice con trasporto Mirko - che ha saputo accettare un marito che non può nemmeno buttare la spazzatura nel cassonetto, perché non arriva a tirare la leva. Fa sorridere ma per chi è in sedia a rotelle è tutto più complicato. Ho cercato di bilanciare dandomi da fare in cucina, ai fornelli me la cavo». Una bella famiglia con due figli gemelli, Nicola e Vanessa. «Ma non sembra che vogliano fare i poliziotti o i carabinieri». Una vita serena. La notte del 3 settembre, resta un ricordo. Mirko non ha sentimenti di vendetta. Lui si è dimostrato più forte dei banditi. Nella vita i perdenti sono loro. Ma se dovesse incontrare oggi il legionario Sacchetti che gira liberamente? Sorride, resta calmo. «Non lo so. Non immagino che reazione potrei avere. Spero si sia pentito. Però in questi anni nessuno della banda mi ha mandato segnali in tal senso. Io ho ripreso la mia vita e sono sereno e felice. Non credo che loro possano dire altrettanto».
Vittorio Pierobon 
(vittorio.pierobon@libero.it)
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Ultimo aggiornamento: 3 Dicembre, 15:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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