Pink Floyd, il 15 luglio di 30 anni fa il concerto che cambiò per sempre Venezia /Foto

Domenica 7 Luglio 2019 di Vittorio Pierobon
Pink Floyd, il 15 luglio di 30 anni fa il concerto che cambiò per sempre Venezia
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Trent'anni fa una delle band più famose del mondo si esibì sul palcoscenico di San Marco nella più totale impreparazione del Comune ad accogliere la prevedibile marea umana. Quel caos travolse anche il progetto Expo e la città si scoprì fragile.
 

 


L'EVENTO
Pink Floyd, un gruppo che ha fatto la storia del rock. Ma a Venezia il nome evoca una storia diversa: la notte dell'apocalisse. Quel 15 luglio del 1989 resta indelebile nella memoria di chi c'era. La città ha scoperto la sua fragilità e gli amministratori locali hanno mostrato l'incapacità a gestire un evento che anche un bambino capiva essere eccezionale: il concerto gratuito da un palco sull'acqua di una delle band più famose al mondo. Con  l'aggravante che non era un giorno qualsiasi, ma la notte del Redentore, la festa di popolo che richiama i veneziani in bacino di San Marco per il grande spettacolo pirotecnico. La cronaca di un disastro annunciato, comincia parecchie settimane prima. E parte con un'idea, che di per sé poteva essere quasi geniale: portare ad esibirsi in mezzo alla laguna gli interpreti di capolavori come The Dark Side Of The Moon o The Wall. La proposta è di Fran Tomasi, rampante organizzatore di eventi musicali, che risiedeva a Venezia. Stava preparando il tour della band in Italia. I Pink Floyd amano esibirsi in scenari mozzafiato. Avevano suonato a Pompei e a Versailles ed era previsto un concerto all'Arena di Verona. Perché no Venezia?
LA PROPOSTATomasi lo propone all'assessore alla Cultura della giunta di centrosinistra, Nereo Laroni, l'ex sindaco socialista che, con la benedizione di Gianni De Michelis, all'epoca potente ministro degli Esteri, sognava di portare l'Expo del 2000 a Venezia. L'idea del concerto non convince e divide la giunta già di per sé piuttosto raccogliticcia, dovendo convivere Pci, Psi, Psdi, Pri e Verdi. Prima Repubblica, sigle e partiti scomparsi. Il sindaco era il repubblicano Antonio Casellati, un avvocato galantuomo, che era come un vaso di coccio tra vasi di ferro. Lui era contrario al concerto, ma venne messo in minoranza dalla sua giunta, peraltro divisa sull'evento. Sul fronte del no la Democrazia Cristiana, all'opposizione in Comune, trainata da un altro avvocato, Augusto Salvadori, paladino della venezianità e strenuo difensore del decoro, famoso per la guerra ai saccopelisti. Il braccio di ferro dura fino al giorno del disastro. Nonostante il sì della giunta, il sindaco non aveva trovato il coraggio di firmare la delibera che autorizzava il concerto. 
DIVIETO SCELLERATOStesso atteggiamento da parte di Margherita Asso, soprintendente ai Beni Culturali, detta la lady di ferro: contraria ma non fino al punto di bloccare il concerto in nome della fragilità di Venezia. Si limita ad alcune prescrizioni per attenuare i danni, tra cui la riduzione dei decibel. Ma aggiunge una disposizione scellerata: divieto di installazione di gabinetti mobili per motivi estetici! Il mondo sapeva del concerto dei Pink Floyd, ma Venezia restava assolutamente impreparata. Nessuna stima sul potenziale afflusso di pubblico. Nessuno pensava che Woodstock potesse avere una replica in laguna. Nessun piano di gestione di questa folla, nessuna misura di sicurezza particolare. Sottovalutazione vergognosa dell'evento. Eppure il tam tam era partito da tempo. Il popolo del rock preparava l'invasione, Tomasi pubblicizzava alla grande il concerto e in bacino di San Marco si allestiva il mega palco. La Rai mandava troupe e piazzava telecamere e microfoni per la diretta in mondovisione venduta a peso d'oro. La macchina organizzativa galoppava, in Comune si litigava. La mattina del 15 già si capivano le proporzioni dell'invasione con migliaia di giovani accampati a San Marco, stesi sui tetti degli imbarcaderi e abbarbicati sui ponteggi di Palazzo delle Prigioni in restauro. Altre decine di migliaia erano in arrivo con treni speciali, pullman e auto. Quanti sarebbero stati? Le previsioni - sbagliate come tutto in questa disorganizzazione generalizzata - parlavano di 50mila. Alla fine saranno 200mila, forse di più. Una massa spaventosa, per quanto pacifica, anche se circolavano voci di stupri, saccheggi e violenze. Tutto falso, ma sufficiente per far abbassare le saracinesche ai negozianti e chiudere i pochi esercizi con una toilette ancora non intasata. L'ora dell'evento si avvicinava e andava a sommarsi alla festa dei veneziani, il Redentore. Nella genialità organizzativa concerto e Redentore dovevamo essere complementari: finiva la musica e partivano i fuochi. In bacino di San Marco altro caos: le barche dei veneziani, che per tradizione trascorrono la notte famosissima cenando sull'acqua in attesa dei fuochi, dovevano stare alla larga dal grande palco dei Pink Floyd. 
MANCAVA LA FIRMATutto pronto, mancava una firma: non si trovava il sindaco. Alla fine il fatidico sì lo ha firmato - poche ore prima dell'inizio del concerto - Cesare De Piccoli, il vicesindaco comunista contrario all'evento. Si è assunto la responsabilità, consapevole che ormai si era a un punto di non ritorno: annullare il concerto avrebbe significato far mettere la città a ferro e fuoco. Chi avrebbe potuto placare l'ira di 200mila giovani presi in giro? Invece filò tutto liscio. Una grande esibizione della band britannica che suonò per 90 minuti. Un evento musicale che fece epoca. Uno spettacolo magico di luci e suoni. Una grande prova di maturità dei giovani, che in realtà hanno sentito pochissimo del concerto e visto ancor meno per la riduzione dei decibel e il divieto di mettere schermi giganti. 
IL DISASTROLe proporzioni del disastro si capiscono il giorno dopo, quando sfollato il pubblico ci si rende conto che i masegni di Piazza San Marco e di mezza città erano ricoperti da tonnellate di rifiuti e da uno strato di liquame e deiezioni. Non poteva essere altrimenti in assenza di gabinetti e cestini per la raccolta dei rifiuti. Un oltraggio alla città. Una figuraccia mondiale. Non era stato predisposto nemmeno un servizio straordinario di raccolta dei rifiuti. Fu necessario l'intervento dell'esercito. Il Gazzettino, interpretando lo sdegno non solo di Venezia, ma di tutto il Paese, uscì con una prima pagina-manifesto con una gigantesca foto di Piazza San Marco coperta dai rifiuti e un editoriale del direttore Giorgio Lago che gridava: Mai più così. La giunta Casellati venne travolta dallo scandalo e fu costretta alle dimissioni. Solo apparenza, perché un paio di mesi dopo tornò al governo della città la stessa maggioranza con Casellati ancora sindaco. L'unica vera conseguenza fu l'affossamento del progetto Expo. La vergognosa incapacità di gestire il concerto costò la bocciatura della candidatura di Venezia. O forse - dicono i maligni - il disastro dei Pink Floyd fu il cavallo di Troia usato dal fronte del no all'Expo.
Vittorio Pierobon

Ultimo aggiornamento: 10:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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