Granchi, ecco l'oro verde della laguna di Venezia. Tutti i segreti della pesca

Giovedì 31 Ottobre 2019 di Alessandro Marzo Magno
Granchi, ecco l'oro verde della laguna di Venezia. Tutti i segreti della pesca
2
Granchi: l'oro verde della laguna. Si sono cominciati a pescare nel Settecento quando ci si è accorti che costituivano un'esca efficace per la pesca delle sardine che si effettuava lungo le coste dell'Istria e della Dalmazia (il centro più importante era l'isola di Lissa oggi Vis dove il paese di Comisa era interamente abitato da pescatori di sardine). Per prendere i granchi era stata approntata una rete specifica, la gransera, e fino a Novecento inoltrato i numeri di questa attività sono stati altissimi: nel 1903 erano stati spediti verso la costa istriana ben 34.753 barili di granchi, poiché ogni barile ne conteneva 35 chili, si arriva a 1200 tonnellate. Naturalmente una porzione del pescato serviva anche per il consumo interno: nel 1923 il mercato di Rialto tratta 173.600 chili di moleche (granchi in muta con il carapace morbido) e 341.500 chili di masanete (granchi femmine con le gonadi molto sviluppate). I  granchi venivano utilizzati anche come concime per le carciofaie di Sant'Erasmo e per i campi di granturco dell'entroterra. Sulle moleche si può aggiungere le nomina anche Carlo Goldoni nella commedia I morbinosi (1759): «Quele quattro moleche no gerele perfette?» domanda Giacometto, «I s'ha desmentegà de tagiarghe le ongiete», risponde Andreetta.

ESPERIENZA E POVERTÀ
Comunque, nella seconda metà del Settecento soltanto i chioggiotti erano in grado di riconoscere i granchi in grado di diventare spiantani, metterli dentro un viero (cesto di vimini) e aspettare che perdessero il carapace divenendo così moleche. I chioggiotti avevano individuato il punto migliore forse per questioni di giro d'acqua davanti a San Pietro di Castello e quindi nel corso dell'Ottocento si piazzavano là con le barche e i vieri tutt'attorno. Erano tempi di povertà devastante, i molecanti dormivano in barca, ma ogni tanto scendevano a terra e qualche baldo chioggiotto si è innamorato di una ragazza sanpierota, l'ha spostata, e così anche i pescatori di San Pietro hanno appreso la tecnica per ottenere le moleche, diventando in tal modo concorrenti dei chioggiotti. Qualcosa del genere è accaduto anche alla Giudecca e a Murano.

MERAVIGLIE NASCOSTE
Questo e altro si impara nella splendida mostra La pesca in laguna, aperta fino al 19 aprile al Centro culturale Candiani, di Mestre. Non ci sono solo i granchi, ovviamente. La rassegna ruota attorno alla collezione di modellini Ninni-Marella, per la prima volta esposta al pubblico. Si tratta di uno dei tanti sorprendenti tesori nascosti in una Venezia che spesso ignora persino di possederli. Sono 184 modellini realizzati nella seconda metà dell'Ottocento da un modellista chioggiotto, Angelo Marella, per la raccolta del conte Alessandro Pericle Ninni, zoologo e naturalista veneziano, appassionato della fauna lagunare. I modellini riproducono, con precisione maniacale, barche, reti, attrezzature, legate alla pesca in laguna dell'Ottocento.

Come si può facilmente intuire, la stragrande maggioranza di quelle barche e di quegli oggetti sono spariti, si conosce l'esistenza di alcuni tipi di barca solo per via del modello presente nella collezione, persino i banali vieri per le moleche oggi sono in plastica e nessuno è più in grado di fabbricarli di vimini. Erano tempi, quelli, in cui la metà del pescato trattato al mercato di Rialto proveniva dalla laguna (oggi dalla laguna arriva quasi niente, se si escludono i caparozzoli e poco altro). Questa incredibile collezione era stata mostrata alle esposizioni universali di Milano e di Berlino e, dopo la morte di Ninni, nel 1892, donata al museo di Storia naturale di Venezia, dov'è rimasta quasi interamente imballata e dimenticata.

Si mostrano i diversi sistemi di pesca: in laguna, sotto costa, in mare. In mare significava stare via per mesi, con battute di pesca che arrivavano fino alla Grecia. Le reti a strascico erano tirate da barche a vela senza deriva e quindi per governarle si usavano complicati sistemi di contrappesi che arrivavano a mastelli pieni di pietre appesi a lunghe aste fuoribordo. Le tratta da riva erano effettuate da decine di persone che tiravano le reti dalle spiagge del Lido e del Cavallino. I modellini illustrano tutto questo con una dovizia di particolari davvero sorprendente.

ORIGINALE RASSEGNA
La mostra, però, non è tutta qui. Si aggiungono i disegni a colori di Luigi Divari, un veneziano profondo conoscitore della pesca storica, le foto e i filmati in bianco e nero, i diari di Marella con le spiegazioni scritte in un italiano dialettale, e gli oggetti. Accanto ai modelli, sono esposti anche attrezzi originali che appartengono alla famiglia Paradiso, della Giudecca, eredi dell'ultimo pescatore di laguna. Dal seminario patriarcale di Chioggia provengono alcuni ex voto (andar per mare era un'attività pericolosa) e vi sono anche oggetti della vita di bordo, come pipe e borse per il tabacco. Viene dedicato uno spazio all'essiccazione delle seppie, un tempo attività fiorentissima, che venivano esportate in Grecia e Turchia nonché scambiate con la lana di Salonicco, un tessuto particolare usato in tutto il Mediterraneo per confezionare pastrani per i pescatori. Alcuni dei modelli della collezione Ninni-Marella erano un tempo esposti in una stanza dedicata alla laguna nel vecchio allestimento del museo di Storia naturale. La gran parte, si diceva, erano imballati da tempi immemori; alcuni anni fa sono stati restaurati e catalogati, e avrebbero dovuto costituire l'ossatura delle nove stanze che il museo avrebbe voluto dedicare alla laguna.

PROGETTO SVANITO
Era tutto pronto, compreso il finanziamento: un milione di euro, 900 mila finanziati dalla Regione del Veneto, il resto dalla Fondazione musei. Ma tutto si è perso nel passaggio da un'amministrazione all'altra. Gli allestimenti sono stati bloccati e di fronte allo stop la Regione ha ritirato il finanziamento destinandolo ad altri usi. Al momento, quindi, le nove stanze sono vuote, i soldi non ci sono più, e, finita la mostra del Candiani, i meravigliosi modellini che ci mostrano il come eravamo della laguna di fine Ottocento, torneranno invisibili. Peccato davvero: in una città dove tutto è a misura di turista, questa collezione, invece consentirebbe di vedere come si pescava e si usava il pesce ai tempi dei nostri nonni e bisnonni. Naturalmente parte di questi utilizzi passava per la cucina e tra i visitatori non sono pochi quelli ai quali si accende il ricordo di piatti di pesce preparati dalla nonna o dalla mamma e di sapori ormai purtroppo quasi del tutto perduti.
Alessandro Marzo Magno
Ultimo aggiornamento: 16:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci