L'associazione di volontariato che supporta le famiglie che vivono il trauma di congiunti spariti da un giorno all'altro compie vent'anni con un importante riconoscimento: ora viene ammessa nei procedimenti come parte civile.
«È uscita come ogni mattina, non è mai rientrata». «Ha preso il cappuccino al solito bar sotto casa, poi è sparito». Già, le sparizioni di tante persone, giovani e anziani, maschi e femmine, per le ragioni più disparate, sono ormai nell'agenda quotidiana di forze dell'ordine e investigatori.
LA SPECIALIZZAZIONE
Sbaglia chi, senza sapere, pensa si tratti niente più che di un gruppo di volontari animati da senso di solidarietà e buona volontà, che pure sono componenti importanti dell'associazione. «La tipologia delle persone che entrano in Penelope - spiega la presidente regionale Daniela Ferrari - è la più varia, evidentemente in prima battuta confluiscono coloro che hanno o hanno vissuto l'esperienza traumatica della ricerca di una persona scomparsa. Ma negli anni si sono avvicinati tanti specialisti, e il loro ruolo è fondamentale: parliamo di psicologi, avvocati, professionisti che hanno avuto esperienze nel settore investigativo, esponenti della protezione civile. Il filo rosso è proprio la sensibilità personale verso una dinamica particolarmente drammatica. Tu non puoi entrare in una famiglia che ha subito una scomparsa ed uscirne indenne, quel dolore resta con te».
Anche in Veneto sono tanti i casi aperti di persone scomparse (vedi box), da coloro che con ogni probabilità sono stati vittime di aggressioni mortali (è il caso proprio di Samira) ai tanti liquidati con la brutale espressione di spariti nel nulla. E se le situazioni più eclatanti di cronaca nera restano a lungo sotto gli occhi e nell'interesse dell'opinione pubblica, una quantità di altri casi dopo qualche giorno vengono inghiottiti dall'indifferenza. «Ci sono vicende - osserva il presidente nazionale Nicodemo Gentile, storica figura di riferimento - come quello di Marianna Cendron (la 18enne di Paese scomparsa nel 2013, ndr) che se non fosse per Penelope finirebbero alla periferia dell'investigazione e della giustizia, presto dimenticati. Quel che sicuramente non è ancora chiaro è la dimensione quantitativa del fenomeno degli scomparsi: dai minori adescati sui social ai ragazzini fragili, dagli adulti che vivono un disagio alle donne vittime di violenza, fino agli anziani con problemi di salute o demenza. E purtroppo finisce che ci sono gli scomparsi di serie A e di serie B, e anche di serie C».
LA PALUDE DEGLI ERRORI
Chi si occupa di persone irrintracciabili deve affrontare ogni volta una palude che comincia dagli errori della prima ora. «Le prime 48 ore sono fondamentali - osserva ancora l'avvocato Gentile - e se le famiglie degli scomparsi si imbattono in una persona che all'atto di ricevere la denuncia sbaglia l'approccio o che recepisce la segnalazione in modo superficiale tutto diventa più complicato. Va ricordato che quando il fatto non costituisce reato le ricerche sono onerose e quindi dopo un paio di giorni si tende a gettare la spugna». A detta dei responsabili molto è stato fatto proprio per superare lo scoglio del primo impatto «ma indubbiamente tanto dipende ancora dalla sensibilità individuale di chi raccoglie la denuncia. La svolta deve arrivare creando percorsi chiari e oggettivi, a cominciare dalla banca dati del Dna, che attendiamo dal 2015, e da un protocollo efficace - comune a tutte le prefetture - per la ricerca delle persone scomparse».
L'associazione celebra proprio quest'anno il ventennale e nel tempo ha consolidato un ruolo chiave. «Rispetto al passato - evidenzia Stefano Tigani, legale dell'associazione in Veneto - ci sono almeno un paio di elementi niente affatto scontati da rilevare: il primo è che Penelope oggi viene sistematicamente coinvolta dalle Prefetture nei piani di ricerca provinciale degli scomparsi; il secondo che siamo pacificamente ammessi nei procedimenti come parte civile. Ricordo che chiunque può denunciare la sparizione di una persona, non solo i familiari. Come collettività non possiamo accettare che gli scomparsi non vengano cercati». Ma è nella sfera privata che Penelope gioca forse il suo ruolo più importante, quello di supporto operativo ma anche di aiuto psicologico alle famiglie che aspettano notizie. «Le ricerche non devono fermarsi - conclude l'avvocato Gentile - le famiglie devono avere la speranza di riavere i loro cari o almeno una tomba su cui piangerli». Perchè, come diceva il papà di Marianna Cendron in uno sfogo raccolto dal Gazzettino: «Non ci si abitua mai all'assenza di chi si ama, si continua a sopravvivere. Ma quella è un'altra cosa».