Pellestrina, le macerie in riva al mare. «Noi come dopo la guerra»

Domenica 17 Novembre 2019 di Nicola Munaro
Pellestrina, le macerie in riva al mare
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PELLESTRINA - Alberto Scalabrin gestisce come può la fila fuori dal suo negozio di alimentari. Mamme con bambini, anziani, uomini. Tutti fuori in coda, separati dall'interno del negozio da una paratia in legno che Alberto ha montato e sigillato ancora prima della devastazione di martedì notte. Quando la laguna ha toccato quota 187 centimetri e ha superato - per la prima volta dall'Aqua Granda del 1966 - la muretta della riva. Entrando in strada e restando lì per ore e ore fino al tardo pomeriggio del mercoledì, quando le pompe e i moduli elettrici dei vigili del fuoco hanno dato l'accelerata decisiva.  Perché l'acqua da Pellestrina non voleva sapere di andarsene via. E quella muretta progettata per essere salvifica, è diventata di colpo matrigna: un limite al ritirarsi quasi biblico delle acque.

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Che in laguna si abbassavano ma sull'asfalto di un'isola-lingua di terra posta dalla natura come ultimo baluardo dell'ecosistema di Venezia, restavano lì. Stagnanti. Le uniche vie di fuga, i tombini, erano troppo intasati per ricevere acqua. Così i liquami delle fogne, a Pellestrina, per tutta mercoledì erano riemersi dalla pancia della terra, nelle case e in strada.
 
RIPARTIRE«Mio papà mi ha insegnato una cosa: mettere al primo posto il lavoro, sistemare e ripartire» dice Alberto Scalabrin mentre una bambina gli porge con insistenza 10 euro con cui la mamma ha comprato latte e biscotti. Più o meno la spesa è identica per tutti. Acqua, qualche tramezzino già confezionato, dolcetti in scatola. Beni di prima necessità e di immediato utilizzo. A Pellestrina la soluzione è definitiva, non lascia scampo. Frigoriferi non ce ne sono. O meglio, non sono più nelle case e nelle attività commerciali. Adesso si trovano lì, in mezzo alle vie, usati ormai come appoggio ai materassi: andati anche quelli. «È come in tempo di guerra», parla una donna al telefono di fronte alla chiesa di Ognissanti, dove ieri mattina il vescovo di Chioggia, Adriano Tessarollo, ha celebrato il funerale di Giannino Scarpa, il muratore in pensione di 77 anni morto folgorato martedì, mentre cercava di mettere in salvo un frigorifero della sua casa invasa dall'acqua. «Sono passato in questi giorni nelle vostre vie e ho provato ammirazione nel vostro darsi da fare, vivere assieme la calamità. Ci auguriamo - il monito - che chi deve gestire la situazione possa mettere a frutto questa esperienza e con sollecitudine ci si possa venire incontro, pensando a cosa si può fare per evitarne il ripetersi e per recuperare quanto perso».
RECLUSI IN CAMERAAttilio Vianello è uno dei tanti pellestrinotti che ieri mattina hanno fatto la spola tra la propria abitazione e quello che è diventato l'ombelico del mondo dell'isola: il negozio di alimentari di Alberto Scalabrin. In mano un tramezzino confezionato, delle patatine, un dolce e una bottiglia (in plastica) di vino bianco. 
«Ho perso tutto». Semplice. Pochi metri più in là la moglie e la figlia stanno ancora ripulendo casa. Tutti sanno già che il sole di ieri è la tregua concessa prima di oggi e di una battaglia che si annuncia impegnativa. Il Centro maree ha fissato una quota di 160 centimetri per le 12.30. «Compriamo quello che riusciamo - ammette Attilio - E chissà cosa sarà domani (oggi, ndr). Farò come ho fatto martedì notte e per gran parte di mercoledì: starò chiuso in camera da letto al secondo piano e lì non si rischia». Nello stesso stabile Pierpaolo Perutto lavora di gran lena per cercare di salvare il materiale elettrico dell'Osteria Il Campiello. «Ci stavamo preparando per festeggiare un anno di attività e invece ecco. Stanotte e domani (oggi, ndr) si replica e vediamo cosa ci aspetta». In una notte da lupi, Il Campiello ha visto andarsene abbattitori e frigoriferi. Si sono salvati i fuochi. «A casa non è andata meglio, io e mia moglie per un'ora abbiamo tenuto chiusa la porta di casa, la marea la spingeva».
«ENTRAVA OVUNQUE»«A casa ho perso sei elettrodomestici, vedete voi come si fa», sono le uniche parole di Dirce, che in bicicletta passa veloce. Troppo da fare, tanto da attendere. Oggi si replica e la paura è quella che racconta Elena, una giovane che a Pellestrina vive e lavora. «L'acqua martedì notte usciva da tutte le parti: dalle docce, persino dai water». Con l'acqua, risaliva anche la fognatura. Per due giorni residenti e commercianti hanno lottato con lo sporco, con la fatica. «Si cercava di salvare il salvabile, il giorno dopo si puliva. Ieri (venerdì, quando la marea ha toccato 154 centimetri, ndr) eravamo tutti in attesa a guardare la muretta». Che tante volte li ha salvati, fino a quota 173 centimetri. Ma che mercoledì è diventata di colpo l'incubo e il nemico. Da combattere da soli: la paura, a Pellestrina, è di essere abbandonati al proprio destino. Ieri la presidente del Consiglio comunale di Venezia, Ermelinda Damiano, ha fatto tappa qui per i funerali di Giannino Scarpa e per rendersi conto in presa diretta della situazione. In un'isola, la più colpita, in cui i volontari arrivano, sì, ma manca ancora una lista completa delle necessità e dei danni. E in cui le storie da tregenda sono infinite. «Mi sono rotto la caviglia aiutando un amico a spostare la barca, arrivata a riva - racconta Mario Scarpa -. Sono rimasto 38 ore all'ospedale per un gesso e mi hanno riportato qui solo perché doveva fare un viaggio un'idroambulanza».
Intanto la coda davanti agli alimentari di Scalabrin continua: «Il magazzino è a posto, ne abbiamo fino a lunedì. Di rifornimenti non ne arrivano e a parte noi, qualche forno e un altro negozio di alimentari è tutto chiuso. Da lunedì, si vedrà». Più in là, ci sono ancora i fiocchi azzurri di un neonato. La marea non li ha strappati. Pellestrina riparte anche da lì.
Nicola Munaro

Ultimo aggiornamento: 14:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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