Autobiografia del card. Scola: «I miei anni a Venezia e il problema Marcianum»

Sabato 8 Settembre 2018 di Alvise Sperandio
VENEZIA Il patriarca Marco Cè a fianco al cardinale Angelo Scola
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VENEZIA «Venezia mi ha cambiato», disse il giorno che si congedò prima di andare a Milano. Ora, che al cardinale Angelo Scola Venezia sia rimasta nel cuore, lo si capisce da come ne parla nell’autobiografia “Ho scommesso sulla libertà” (ed. Solferino), fresca di pubblicazione, in cui ripercorre a tutto campo il decennio del suo ministero episcopale in laguna. Definisce Venezia “città dell’umanità e delle religioni” e conferma che alla sua nomina a patriarca Papa Giovanni Paolo II gli raccomandò che “fosse la spalla di Roma”. Sottolinea la complessità geografica del Patriarcato composto di Venezia, terraferma, Riviera e Litorale. 
I RAPPORTI CON CE’
Spiega che all’inizio i rapporti con il predecessore, il cardinale Marco Cé, erano freddi e distaccati, ma poi “tra noi è nato un rapporto di stima reciproca che è diventata un’amicizia sincera e intesa”. Scola ricorda che con i politici c’era un “confronto permanente sui problemi della città, strutturalmente fragile per il problema congenito dell’acqua alta e per l’invasione turistica di massa tipo “usa e getta”. Ormai i visitatori si fermano dalla mattina alla sera e vogliono vedere tutto, quasi fosse una corsa all’interno del supermercato e racconta”. E rivela che una volta per favorire “l’amicizia civica come fattore chiave per far tornare la voglia di vivere e fermare l’esodo” organizzò un simposio con le massime autorità cittadine, una trentina di persone, facendosi promettere da tutti che sarebbe rimasto top secret. 
IL RAPPORTO CON CACCIARI
Scola definisce Massimo Cacciari “un buon sindaco, un intellettuale di grande rilievo, un filosofo acuto e appassionato” che “si definisce un non credente, ma la sua ricerca confina con la fede. Oserei dire che è un uomo con una sua fede”. Largo spazio lo dedica alla creatura prediletta, il Marcianum, che ha perseguito “l’unità del soggetto” e che, frequentato da 600 persone al giorno tra studenti, docenti e ricercatori, “è stato un esempio concreto di come si possa bloccare la decadenza del centro storico ritenuta da molti ineluttabile”. 
IL MARCIANUM E IL CVN
A proposito dei finanziamenti pubblici e privati scrive: “Non mi sono pentito e difendo ancora oggi quella scelta perché era il segnale che accettavamo fino in fondo il principio di laicità e non avevamo timore di entrare come un’istituzione a pieno titolo nella società civile”. 
Sul sostegno del Consorzio Venezia Nuova e l’inchiesta Mose, in particolare, chiarisce: “I contributi sono sempre stati acquisiti, contabilizzati e utilizzati in modo corretto e trasparente in conformità allo statuto. Le insinuazioni giornalistiche che hanno cercato di trascinare il Marcianum nello scandalo del Mose mi hanno fatto male perché ingiuste e del tutto infondate”.
MORAGLIA
Quindi il suo giudizio sul ridimensionamento del polo accademico: “Il patriarca Moraglia riteneva che la gestione della Fondazione fosse troppo onerosa, in mancanza di un patrimonio stabile che ne garantisse il mantenimento nel tempo. Il fatto è che io ho sempre cercato di situare il Marcianum in una logica di mercato, il che significa collegare i progetti a una ricerca continua di fondi e di sponsor. Monsignor Moraglia mi disse che gli sponsor stavano sparendo, anche per il contraccolpo delle vicende giudiziarie veneziane. Io risposi che quella comunque era la strada da battere, e se qualcuno si ritirava bisognava cercare dei nuovi soci. Ma a quanto pare lui non se l’è sentita d’imbarcarsi in una simile impresa. È stata una sua scelta del tutto legittima”. 
IL RIMPIANTO
Al cardinale resta un rimpianto: “Devo ammettere di aver commesso un grosso errore, quello di non essere riuscito a trovare una persona che fosse radicata a Venezia e avesse le competenze e l’autorevolezza per reggere la Fondazione una volta che io non fossi più stato patriarca. Insomma una persona, meglio se un sacerdote, in grado di assumersi la responsabilità del complesso Marcianum così che la sua gestione non pesasse direttamente sulle spalle del patriarca”. Doveva essere il suo vescovo ausiliare monsignor Beniamino Pizziol, che però fu trasferito a Vicenza. Conclude Scola: “Mi è molto spiaciuto che la vicenda sia finita così ma credo che il Marcianum abbia rappresentato comunque un’esperienza molto positiva per Venezia e per la Chiesa”. 
Alvise Sperandio
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Ultimo aggiornamento: 9 Settembre, 16:56

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