La Pasticceria Rizzardini, lo scaleter nel cuore di Venezia e quella passione antica per i cocci di vetro di Murano

Martedì 22 Febbraio 2022 di Vittorio Pierobon
La Pasticceria Rizzardini, lo scaleter nel cuore di Venezia e quella passione antica per i cocci di vetro di Murano
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La storia di Paolo Garlato, proprietario con il cognato Primo, della Pasticceria Rizzardini, a San Polo nel cuore di Venezia. Una bottega indicata già in un documento della Serenissima che risale al 1742 dove si regolava l'antica arte degli scaleteri. E poi la passione di recuperante lagunare alla ricerca di vetri e piccoli oggetti del passato che emergono con la bassa marea.


LA PASTICCERIA RIZZARDINI


La storia di Venezia, che tutti conoscono a grandi linee, quella dei dogi, dei fasti della Serenissima, delle grandi imprese marinare, delle conquiste di terre lontane, per ovvi motivi ha finito per oscurare le microstorie dei singoli veneziani, che hanno concorso alla costruzione del grande puzzle che ha portato al Mito della Repubblica millenaria. Ogni angolo della città nasconde una tessera di questo mosaico. Un piccolissimo tassello lo si può trovare all'angolo tra campiello dei Meloni e calle del Forno, nelle vicinanze del ponte di Rialto, dove da secoli c'è una pasticceria.

Già le vetrine, sormontate dalla scritta Premiata pasticceria Rizzardini, incisa nel legno, non passano inosservate: espongono dolci che sanno di antico, bussolai, baicoli, zaeti, mandorlato, disposti su mensole in vetro, come si usava una volta. Mancano solo le madeleine di Proust per completare l'atmosfera L'interno è una bomboniera di quindici metri quadrati, arredato in legno, stile primo Novecento, impreziosito con marmi, specchiere e una boiserie realizzata nell'800 con legno della Val di Zoldo. Il pavimento, naturalmente, è alla veneziana.

AL BANCO PAOLO GARLATO

Il paron di casa è Paolo Garlato, 81 anni da poco compiuti, proprietario assieme al cognato Primo Pulese, della storica bottega. Pasticciere? «No - chiarisce - provengo da una famiglia di tappezzieri. I dolci li fa il nostro vero pasticciere, Paolo Meggiato. Bravissimo. E comunque mi piace di più usare il termine scaleter come dicevano i veneziani.» E mostra la copia di un documento firmato dal doge Marino Grimani, in cui viene proibita la bestemmia nel negozio dello scaleter in campiello dei Meloni. È datato 1742, ma è evidente che la bottega esisteva ancora prima. «Chi praticava l'arte della pasticceria veniva chiamato scaleter, dal nome di un dolce tipico, a base di pasta frolla, inciso con dei gradini che lo facevano assomigliare ad una scala». Quella degli Scaleteri era un'arte con tanto di Mariegola (lo statuto) ed esame di ammissione: «impastar et cusinar dodici savoiardi, dodici pani di Spagna, dodici busoladi del Zane, dodici busolladi caneladi col marzapan e dodici sfogliade tutti da due soldi l'uno, con dodici storti e dodici scalette». Il protettore è San Fantin e nella chiesa a lui dedicata (nelle vicinanze della Fenice) sono ancora custoditi i ferri da scaleter.


LA TRADIZIONE

Tasselli di storia, si diceva. Nella pasticceria Rizzardini il tempo sembra essersi fermato, tutto è antico, compreso il nome del locale che non corrisponde a quello degli attuali proprietari. «I Rizzardini erano una famiglia proveniente dalla Val Zoldana - racconta Garlato - Si trasferirono a Venezia nel 1870 e presero in gestione questo locale, che allora funzionava anche come forno. Lo hanno arredato con cura, tramandandolo di padre in figlio fino al 1982, quando siamo subentrati noi. L'idea è stata di mio cognato. Aveva venduto un ristorante che aveva in via Garibaldi a Castello, e mi ha proposto di diventare suo socio. Io di pasticceria non sapevo nulla, fino a quel momento avevo fatto prima il tappezziere e poi il venditore di vetro a Murano. È stata una svolta che mi ha cambiato la vita». Unica condizione, posta dai Rizzardini al momento di vendere, è stata quella di mantenere il nome del locale e continuare con le antiche ricette. Così è stato, come sanno i veneziani che frequentano il locale, uno dei pochi che non ha adeguato vetrine e offerte merceologiche ai gusti dei turisti mordi e fuggi.


I COCCI DI VETRO DI MURANO

Ma Garlato coltiva un'altra passione che lo lega all'antica Venezia: raccoglie cocci di vetro di Murano. Una sorta di recuperante in versione lagunare. «È una passione che mi ha preso fin da giovane, leggendo libri storici su Venezia. Mi piace andare in laguna e cercare nelle terre che affiorano, quando c'è bassa marea, pezzi di vetro. Mi dà una gioia interiore che è difficile descrivere. Sono gli scarti che provengono da Murano, sotto la Serenissima venivano usati per le bonifiche o per arginare i canali. Il giacimento maggiore si trova nella zona di Fusina, anche se ormai tende ad esaurirsi». Ma cosa trova? E perchè lo fa? «Niente di valore, non sono un cercatore d'oro. Trovo perle, pezzi di vaso. Niente di intero, perché il vetro è troppo delicato. Ho provato a portare i frammenti e le perle al museo del vetro di Murano, ma mi hanno detto che hanno già i magazzini pieni».


IL PEZZO PREGIATO

Per la verità un pezzo che forse è pregiato ci sarebbe. Il ritrovamento risale addirittura al febbraio del 1982 e fino a pochi anni fa era custodito da Piero, compagno di ricerche di Garlato, che poco prima di morire glielo ha affidato. «È una testa d'uomo in terracotta, cava all'interno, in perfetto stato di conservazione. È alta 14 centimetri e larga 14. La fattura è pregevole, lo stile classico. Sicuramente antecedente al 1600. Con Piero l'abbiamo fatta vedere da esperti, abbiamo anche cercato di consegnarla ad un museo, ma non l'hanno voluta». Ora si trova, assieme a centinaia, migliaia di pezzetti di vetro nel magazzino vicino all'abitazione di Paolo. Lui vorrebbe dargli una collocazione più dignitosa in qualche museo.


COMPARSA AL CINEMA

Pasticcere, recuperante lagunare. La vita di Garlato è ricca di sorprese. «Lo sa che ho fatto anche l'attore e sono andato alla Mostra del cinema», dice mostrando la locandina del film Il sapore del grano, regia di Gianni Da Campo, presentato alla rassegna del Lido nel 1986. Protagonista principale Marina Vlady, attrice francese che ha lavorato anche con Godard e Orson Welles. Ma cosa c'entra lo scaleter Garlato con il grande cinema? «Da giovane ho recitato in compagnie dialettali amatoriali. Una passione che avevo archiviato. Ma un giorno ero al banco in pasticceria, quando mi sono accorto che un cliente mi guardava a lungo, poi mi ha detto: mi interesserebbe il suo viso». Garlato sorride, si lascia scappare un aggettivo politicamente poco corretto per definire l'interlocutore. Aveva frainteso le intenzioni del cliente «Mi sembrava un po' strano e dapprima ho pensato che avesse un interesse, diciamo particolare per me. Poi si è presentato, era il regista Da Campo. Mi ha proposto di fare un provino. L'ho superato e sono entrato nel cast del film, con una parte piuttosto importante. Non avrei mai pensato di finire sul red carpet, anche se allora si chiamava solo passerella, della Mostra del Cinema». Mentre racconta sfoglia alcune foto di scena, vecchie locandine, copie di articoli dell'epoca. Tra le foto c'è anche qualche scena di nudo. Ma ha girato anche scene di sesso? «No, mai - dice rammaricato sogghignando - quando ghe gera sesso no i me ciamava».


(vittorio.pierobon@libero.it)

Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 10:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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