Paolo Crepet: «Non abbandoniamo i ragazzi ai social e mai più Dad»

Giovedì 12 Maggio 2022
Paolo Crepet

«Genitori, per favore tornate ad arrabbiarvi (l'espressione, in realtà, è più colorita, ndr). Finitela di dire di sì a tutto. Fate impegnare i vostri figli, perché si guadagnino la vita». Paolo Crepet, uno degli psichiatri più noti d'Italia, scrittore e opinionista, domani sera parlerà a Mestre di disagio giovanile, tra presente e prospettive future.


Professor Crepet partiamo con una fotografia: cos'è successo con il Covid?
«C'è chi vede nel Covid uno spartiacque, ma non è così.

In realtà la pandemia ha accelerato una situazione che c'era già e non da ieri: un peggioramento progressivo dei valori e delle regole di convivenza iniziato con il boom economico degli anni Sessanta e Settanta, che ha cambiato e sta cambiando progressivamente il Nordest, il senso del lavoro e la sua economia».


Il lockdown ha portato l'impossibilità di uscire, la chiusura delle scuole, facendo venire a galla sentimenti di paura, solitudine, emarginazione tra i ragazzi. Chi è più fragile e vulnerabile ne ha risentito parecchio.
«Il guaio vero si chiama didattica a distanza. Molta sofferenza emotiva, anche grave, trova le sue radici là. Quel che è stato è finalmente alle spalle e non dovrà mai più ripetersi. Speriamo si sia capito che bisognava gestire le restrizioni diversamente: costringere a casa un bambino e un adolescente è deleterio e ora ne paghiamo le conseguenze».


Ma perché i più giovani hanno avuto così forti ripercussioni? Cosa c'è al fondo di questo malessere diffuso?
«Perché è stato toccato un tasto sensibile. Giovinezza vuol dire socializzazione. Il divieto, la proibizione sono stati un errore madornale. Chi ha deciso avrebbe dovuto ascoltare noi esperti di psicologia».


Cosa la preoccupa?
«Bisogna fare un giuramento collettivo: alla Dad non si dovrà mai più tornare. E basta andare al ribasso: si parla di abolire i voti a scuola, di semplificare e depotenziare l'esame di maturità Si tratta, invece, di crescere delle generazioni che dovranno imparare a essere responsabili e competitive in un contesto di cooperazione internazionale».


Durante la pandemia le Pediatrie si sono riempite di ricoveri
«La colpa è dei social network! Siamo arrivati all'apice degli effetti negativo di un loro uso smodato e incontrollato. Se una ragazzina si fa un selfie e lo posta perché il mondo lo veda, a contare è solo la sua rappresentazione visiva, tutto il resto passa in secondo piano. Il punto è che si è perso il senso del limite».


Nell'epoca del digitale pare esserci una fatica sempre più diffusa per i rapporti veri: conta un follower e un like in più piuttosto che un'amicizia reale...
«Permettendo tutto si sta facendo l'interesse dei grandi colossi che gestiscono i social, fatturando non milioni, ma trilioni di dollari. Ce ne rendiamo conto? Stiamo rotolando giù assecondando il cinismo di certe aziende che sfruttano l'immagine dei nostri figli. È ora di mettere un argine».


I Servizi contro le dipendenze delle Ulss certificano problemi di alcol e droga in ragazzini sempre più giovani, talvolta persino prima della pubertà.
«È una situazione gravissima. Dobbiamo chiederci: qualcuno si rende conto che ci sono le mafie che fanno business con lo spaccio? C'è qualcuno che si accorge di cosa accade nelle piazze delle città a mezzanotte? Dove sono i genitori? A me risulta che molti siano impegnati a giocare a padel».


Gli adulti spesso sembrano assenti.
«È così. E, intanto, alle loro spalle, i figli poco più che bambini cominciano ad andare in crisi e fare uso di sostanze. A metà anni Settanta, quando io avevo 22-23 anni, i tossicodipendenti erano miei coetanei. Oggi l'età si è abbassata di una decade, a 12-13. Poi, però, quando emerge un caso, sapete cosa rispondono i genitori: E io cosa ci posso fare? Vedo che in tanti pensano solo alla carriera e ai soldi. Immolano il loro futuro sull'altare del lavoro».


Come invertire la tendenza?
«Il focus è la questione educativa. Per la mia esperienza io dico basta col buonismo e col lassismo. Volete degli esempi? A 13 anni non fai seratona a Jesolo. A 13 anni non ti do lo smartphone in mano e se il papà o la mamma temono di provocare un complesso, devono capire che in realtà non si stanno omologando. A scuola bisogna impegnarsi. Faticare: con giudizi, voti e bocciature. L'esame di Stato dev'essere serio. L'Università selettiva. Insomma, bisogna capire che senza sforzi non si cresce e non si diventa intelligenti».


Molti parlano di deriva delle agenzie educative a partire dalla scuola.
«Bisogna investire più soldi nella scuola e rendere obbligatorio il tempo pieno dall'infanzia alla terza media. Bisogna alzare il livello dell'insegnamento e dell'apprendimento. Ma anche i servizi pubblici, sociali, psicologici, educativi, vanno ripensati».


Il suo è un monito forte.
«Nessuno è obbligato a mettere al mondo un figlio. Ma se lo fai gli deve voler bene. E voler bene non significa assecondare sempre e comunque, ma anche correggere, dire dei no. C'è chi si esercita nello scaricabarile: è sempre colpa degli altri Ma ci rendiamo conto che c'è chi arriva a uccidere per avere l'eredità? Io quella materiale la eliminerei Dovrebbe restare solo quella morale. I fatti ci dimostrano che spesso i più sciocchi sono i figli dei ricchi, perché non sanno cosa voglia dire tirarsi su le maniche per guadagnarsi le cose».


Un consiglio per l'estate che arriva?
«Mandiamo i ragazzi a lavorare. Un tempo, per esempio, c'era la colonia che insegnava autonomia e indipendenza. Ora è tutto facile, alla portata. Facciamo che si impegnino in qualcosa d'interessante. Altro che viaggi di maturità all'estero che durano una settimana, pagati dal papi accondiscendente, magari con feste e sballi ogni sera. Quel papi ha sabbia in testa. E non si venga a lamentare se, malauguratamente, il figlio finisse nel giro della droga: se ti do i soldi per frequentare un posto dove spacciano, di fatto divento un pusher anche io».
 

Ultimo aggiornamento: 16:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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