Dieci anni fa il trasloco dell'ospedale: l'Angelo spiccò il volo dall'Umberto I

Venerdì 15 Giugno 2018 di Maurizio Dianese
Dieci anni fa il trasloco dell'ospedale: l'Angelo spiccò il volo dall'Umberto I
 L’ultimo paziente, pochi minuti prima delle 14, era stata una bambina di 5 giorni del Bangladesh. La dottoressa Annarosa Feltrin, una veterana del Pronto soccorso, l’aveva visitata in un attimo, senza nemmeno farla scendere dalla macchina e aveva capito subito che la piccola doveva essere ricoverata. E così l’auto aveva preso la strada dell’Angelo, andando a inaugurare il Pronto soccorso del nuovo ospedale che, ad oggi, esattamente dieci anni dopo, ha visto passare per i suoi ambulatori quasi un milione di persone.  Alle 14 in punto di quel 14 giugno 2018 il cancello dell’Umberto I di via Circonvallazione era stato chiuso e il dottor Onofrio Lamanna – che aveva guidato le operazioni di trasloco dalla vecchia alla nuova struttura - aveva stappato la bottiglia di champagne: «Grazie a voi ce l’abbiamo fatta» aveva detto a medici e infermieri riuniti per la foto di gruppo davanti all’entrata del vecchio Pronto soccorso dell’Umberto I.
L’ULTIMO SOPRALLUOGO
Ma a tutti era venuto il magone anche se si trattava di abbandonare un posto che cadeva a pezzi, con i muri scrostati, le perdite d’acqua, il cartongesso, i fogli attaccati con lo scotch, la lampada tenuta insieme dal fil di ferro, il linoleum dei pavimenti rosicchiato dalle scarpe dei pazienti e dei familiari. Rosanna Cervellin, “la capa” storica di tutti gli infermieri dell’Umberto I, aveva fatto il giro dei reparti e di qua tirava giù una persiana, di là spegneva una luce, chiudeva una porta, dava un colpetto sulla sedia o sul letto. Perchè all’Umberto I mancavano solo gli umani, ma tutto il resto c’era ancora. Dai letti ai comodini, dalle sale operatorie ai “cigni” per misurare la pressione, dagli alambicchi alle provette, dai frigoriferi alle coperte, era rimasto tutto lì perchè nel nuovo ospedale tutto sarebbe stato nuovo di fabbrica e i vecchi arredi del vecchio ospedale sarebbero stati regalati ad un paio di strutture della Caritas in Africa. Nelle segreterie di ogni reparto erano rimasti i mille segni di vita vissuta di quei mille e cinquecento infermieri e medici che avevano dato l’anima per i pazienti di una struttura che fino agli anni Sessanta era un ospedaletto di campagna e che grazie a loro – e nonostante la politica – era diventato un grande ospedale.
I GRANDI MEDICI
Perchè negli anni ‘80 in ospedale a Mestre non c’erano solo i grandi come Giovanni Rama, che avrebbe cambiato le sorti e i destini dei trapianti di cornea in Italia o il prof, Enzo Zotti, uno degli ultimi grandi chirurghi generali, ma all’Umberto I c’erano grandissimi internisti come Luciano Caprioglio o radiologi come Luigi Bussoli assieme a tantissimi giovani medici – da Roberto Busolin a Maurizio D’Aquino, da Paolo Wolf a Michele Sicolo, da Lenni Buratto a Emilio Rapizzi, da Gianpaolo Pinato a Franco Nicastro, da Alfredo Saggioro a Francesco Frigato, da Vito Pagan a Maurizio Rizzo, da Francesco Boetner a Roberto Moretti, da Franco Guida a Giampaolo Bevilacqua, da Antonio Raviele a Fausto Rigo, da Claudio Zussa a Sandro Panese, da Andrea Frigato a Carlo Pianon e a tantissimi altri, molti dei quali sarebbero diventati grandi nelle loro specialità. Perchè Mestre ormai aveva iniziato a far scuola in certi campi della medicina, da Otorino a Oculistica, da Chirurgia a Cardiochirgia e Cardiologia. Erano arrivati nuovi reparti e nuovi macchinari in un Umberto I che alla fine del secolo scorso era una baracca dal punto di vista architettonico, con padiglioni che sembravano casette al mare come il padiglione Venezia che ospitava la prima terapia antalgica della storia della regione. O come il padiglione De Zottis che faceva finta di assomigliare a una villa palladiana ed ospitava psichiatria. E poi il Cecchini, che pareva un condominio stile anni ‘60 e ospitava medicina, ma anche le nuovissime sale operatorie di chirurgia seconda con Zotti e Luciano Griggio. L’unica parte decente, dal punto di vista architettonico, erano il padiglione d’ingresso e il monoblocco, tutti e due degli anni ‘60, prefabbricati costruiti per durare qualche anno e che avevano retto per mezzo secolo grazie a continui interventi sui termosifoni e sui rubinetti, sui pavimenti e sui muri. Il Pronto soccorso perdeva letteralmente i pezzi e al malcapitato capitava di svegliarsi in barella e, alzando gli occhi al soffitto, vedere che il soffitto era un pezzo di cartone tenuto insieme dal nastro adesivo. 
SALTO DI QUALITÀ
Era così l’Umberto I, un ospedale pieno di futuro che aveva solo bisogno dell’involucro, un posto dove medici e infermieri facevano la differenza. Li aveva scelti uno ad uno il direttore sanitario Ugo Coli, che aveva pescato in tutta Italia i migliori professionisti, convinto che prima o poi Mestre sarebbe diventata attrattiva. Poi ci si era messa di mezzo la politica a fermare tutto per decenni finchè non è arrivato al governo della Regione Veneto Giancarlo Galan nel 1995. Galan aveva una visione strategica della sanità e con lui si inaugura il primo grande ospedale d’Italia costruito in project financing e cioè con i soldi dei privati. E si potrà criticare mille volte la scelta, ma è un dato di fatto che è l’unica grande opera che a Venezia non sia stata scalfita dalle inchieste giudiziarie. Il nuovo ospedale vanta un altro record. Anzi due. È stato costruito in quattro anni, quanto basta normalmente per asfaltare un marciapiede, ed è ancora come nuovo, ricorda Lamanna - ora direttore sanitario dell’Ulss – al quale capita spesso di andare su e giù per l’Italia a vedere ospedali che sono più “giovani” dell’Angelo e già cadono a pezzi. Questo no. Certo, ha avuto tante “rognette”, ma grossi problemi non ne sono saltati fuori a parte l’errore progettuale sui vetri della “vela” che non sono in grado né di respingere il sole né di evitare il gelo. Ma l’intera struttura regge perfettamente, anche dopo 10 anni e tutto il merito della costruzione dell’Angelo va attribuito ad Antonio Padoan, il direttore generale dell’Ulss che ha dato a Mestre l’ospedale che la città aspettava da oltre mezzo secolo. Il risultato è l’ospedale dell’Angelo che oggi è uno dei 7 ospedali più importanti del Veneto e cioè del Nord’Italia e dell’intera Europa.
Maurizio Dianese
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Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 08:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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