Francesco Pavan, l'orafo che riproduce i tesori del passato

Domenica 1 Marzo 2020 di Chiara Pavan
Francesco Pavan, l'orafo che riproduce i tesori del passato
Francesco Pavan, mestrino classe 1962, innamorato di monili del passato li riproduce e ne studia la tecnica di realizzazione. I suoi oggetti non sono quindi semplici prodotti di artigianato, ma una vera e propria forma d'arte che parte dall'archeologia. «Sono un archeotecnico che vuole capire come facevano i maestri dei secoli scorsi: creo gli attrezzi che devono funzionare».

IL PERSONAGGIO
Un gioiello può raccontargli mille storie, tanto più se antico o addirittura antichissimo: mirabilia che accendono le vetrine espositive di mostre o musei, che illuminano le pagine di libri d'arte o che semplicemente affiorano dai ricordi di scuola. Così, quando osserva linee incredibili che esaltano oro, argento, bronzo e avorio, o quei millimetrici disegni che valorizzano curve, ellissi e forme stilizzate, non riesce ad evitare la grande domanda che lo assilla da quando decise di diventare orafo: «Ma come facevano i nostri antenati a realizzare quei capolavori?». Francesco Pavan custodisce ancora i primi monili in acciaio ideati quand'era studente dell'Istituto d'Arte di Venezia dopo esser stato «letteralmente folgorato» dalla mostra L'oro degli sciiti ospitata nel 1977 a Palazzo Ducale. Uccelli, cervi, arieti, serpenti, aquile reali «che ho realizzato usando i chiodi di un'architrave come ceselli. Mi chiedevo come riuscivano a rappresentare la natura in quelle magnifiche forme geometriche, di una modernità impressionante, e quali strumenti avessero a disposizione». 



LO SGUARDO
Ed è proprio qui che il mestiere dell'orafo mestrino, classe 1962, si sgancia dal semplice artigianato per diventare una vera e propria forma d'arte. Che parte dall'archeologia per avventurarsi in mondi altri popolati di grandi storie. Pavan non si limita ad osservare, studiare, catalogare e riprodurre i monili più suggestivi indossati dalle donne del passato, ma analizza con attenzione le tecniche artigianali che si celano dietro quelle piccole meraviglie. Tra le pareti del suo laboratorio-atelier 4 Nove Gioielli in via Caneve a Mestre, avviato nei locali che un tempo ospitavano la macelleria gestita da zio e papà, si affollano utensili dalle forme più strane: martelli e martelletti, a forbici, pinze, saldatrici, bulini, frese, lime, molatrici. «Voglio capire come facevano gli antichi maestri, perché poi ricostruisco lo strumento. Che deve funzionare» spiega Pavan. Dai cassetti del bancone l'orafo mestrino estrae bottoni, piccoli dadi in avorio di mammuth, un pezzo di pettine con dentini minuscoli ma perfettamente allineati, «sono così piccoli, finissimi e così lineari. Perfetti. Ogni volta è una sfida: devo dare una risposta agli oggetti, a quello che si trova».

INDIANA JONES? NO GRAZIE
Guai però chiamarlo Indiana Jones dei gioielli, sarebbe riduttivo. «Diciamo che l'archeologo studia quello che faceva il mio antenato» sorride Francesco. Lui, invece, si diverte a viaggiare nel tempo, «dalla preistoria ai giorni nostri», per ricreare con gli strumenti di allora pezzi unici da presentare ai propri clienti oppure a musei, istituzioni, fiere, rievocazioni storiche. E sperimentando tecniche diverse - tra cui lo sbalzo, il cesello, la fusione a cera persa, la forgia - Pavan crea anelli inaspettati per mano destra o sinistra («si adattano alle dita»), bracciali che avvolgono polsi, collane, possenti torque puntellati di pietre preziose, e poi fibbie, bottoni, pugnali, anforette portaessenze in ambra, minuscoli portamessaggi. «Sono un archeotecnico - spiega - che ha ereditato da suo padre la voglia di capire le cose, per vederci dietro l'uomo. Oggi stiamo perdendo il contatto con la materia. Sarebbe più semplice affidarsi al computer, creare il modello e poi ricostruirlo, ma dietro la tecnica serve la conoscenza. Devi sapere come si è arrivati a forgiare un determinato oggetto». Come la magnetica Afrodite in oro giallo che estrae da un cassetto, «l'originale arriva dall'Afghanistan, risale al I secolo a.C: volevo capire come era stata fatta - spiega rigirando il monile tra le mani - Questa Afrodite racchiude tre culture: è la dea della Grecia classica, le ali rimandano ai culti dell'area afghana, e il terzo occhio punta alla via della Seta. Magnifico».

LAVORARE L'AMBRA
Sul banco lavoro dell'atelier si affollano eleganti ciondoli in ambra del Baltico da abbinare a collane realizzate in sottilissimi fili d'oro o semplici cordoncini di cuoio: ecco un'elegante anforetta porta-essenze, poco più grande di un pollice, una magnetica civetta stilizzata che in trasparenza custodisce un insetto, proprio come in Jurassic Park. Così, per imparare a plasmare l'ambra, il 21 marzo, giorno del solstizio, è in programma un laboratorio esperienziale con l'orafo mestrino (a numero chiuso in via San Girolamo a Mestre) all'interno di una giornata di incontri e riflessioni ideata per il ciclo Le ombre delle idee: si parlerà di Alchimia nella stanza d'analisi: il cuore e l'alambicco con lo psicologo Alessandro Gabetta, di Alchimia reale: estrarre la luce dalla materia con lo studioso Giovanni Atrop, della seduzione del vetro con il docente Andrea Tosi, e la luce condensata: i sentieri simbolici dell'ambra con l'archeologa Sara Garbellini. 

L'ATTIVITÀ
La passione per l'artigianato antico ha portato Pavan a entrare nell'associazione ArcheoFaber (legata al Museo dei grandi Fiumi di Rovigo) per spiegare al pubblico, e in particolare ai bambini, la lavorazione di ceramica, terracotta, selce e metalli. Al Palio della Marciliana di Chioggia, Pavan si trasforma in un orafo medievale «che con sbalzo e cesello riproduce le croci del 1300». Pochi anni fa è entrato a far parte della Legio I Italica, altra associazione che si occupa di rievocazioni storiche, archeologiche e sperimentali, «dove seguo le attività didattiche sull'oreficeria romana». Non contento, dal 2010 collabora con la Borsa Mediterranea Turismo Archeologico e con numerosi musei italiani ed esteri (e in particolare Altino, Aquileia, Rovigo e col Castello di San Giusto a Trieste). Per non parlare delle committenze, come il progetto avviato poco tempo fa con il Gran Palais di Parigi che sta per ospitare un'esposizione dedicata a Pompei. «Per loro sto realizzando una serie di piccoli oscillum in argento e bronzo, sorta di campanelli collocati sui muri delle case, e dei piccoli sator, le iscrizioni latine in forma di quadrato magico. Verranno poi venduti al bookshop». Anche per Aquileia ha creato monili, fibule, anelli traforati e strigile: «Egizi, greci e romani avevano abilità che diamo oggi per scontate. Eppure erano incredibili, e non avevano niente. Basta solo pensare alle loro tecniche di fusione. Adesso, se non ha strumenti adatti, non fai nulla». Lui, invece, prova a resistere: «Non sono contrario alla modernità, sia chiaro - chiude Pavan - ma amo scoprire e mantenere queste antiche tecniche. Per capire da dove veniamo. Nella speranza che tutta questa conoscenza non si perda nel mare di una modernità senza memoria».
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