​Moto Guzzi, una passione senza limiti. Aurelio e la sua collezione: «Ne ho più di 1.000»

Martedì 29 Settembre 2020 di Vittorio Pierobon
Moto Guzzi, una passione senza limiti. Aurelio e la sua collezione: «Ne ho più di 1.000»
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Aurelio Rampazzo, 65 anni, titolare di una importante azienda edile che opera nel settore del restauro di edifici storici ha trasformato un capannone di Mirano in museo che accoglie anche 80 Guzzi: «Ogni pezzo ha un'anima e una storia».

IL PERSONAGGIO
Il numero fa impressione: una collezione di oltre mille moto. Per la precisione 80 Moto Guzzi e un migliaio di altre marche. Il museo della moto privato più ricco d'Italia è a Mirano, grosso centro della terraferma veneziana. Il collezionista è Aurelio Rampazzo, 65 anni, titolare di una importante azienda edile che da trent'anni opera nel settore del restauro di edifici storici. Ad Aurelio non piace recuperare solo i vecchi palazzi veneziani, lui ama conservare tutto ciò che proviene dal passato. Nella sua villa di Mirano, dove ha restaurato un vecchio capannone industriale, trasformandolo in un caveau stile banca (in ricordo dei suoi primi anni in cui ha lavorato in un istituto di credito) a cui si accede da una porta blindata, si trova un museo. Uno spicchio di storia industriale del Novecento è custodito lì: dalle serie di televisori e radio Brionvega, ai registratori Geloso, dalla Vespa del film Vacanze romane alle bottiglie di Cynar, trasformate in walkie talkie, che la casa dell'amaro al carciofo regalava ai clienti più importanti. E ancora dalle radio Grundig (unico marchio non italiano nella collezione) alle macchine da scrivere Olivetti. Ma il pezzo forte, quello che lascia senza fiato appena si entra nel capannone, è la collezione di Moto Guzzi: 80 esemplari che hanno dato vita alla leggenda della casa costruttrice di Mandello. La visita al museo è guidata.

LA VISITA GUIDATA
Rampazzo riceve solo per appuntamento (aureliorampazzo@alice.it) e accompagna personalmente i visitatori. Per ogni moto potrebbe parlare per ore. Sa tutto: le caratteristiche tecniche, il numero di esemplari costruiti, i risultati ottenuti in campo agonistico, i piloti che le hanno guidate. Ogni pezzo è certificato con i libretti di circolazione originali.

Aurelio accarezza le sue Guzzi, come farebbe un innamorato con la fidanzata. Le guarda, quasi parla con le moto. «Questi non sono pezzi di metallo assemblati. Ogni moto ha un'anima, ha vissuto una storia. Rappresenta un pezzo dell'evoluzione dell'uomo. Guardi quella: è la prima Guzzi, è del 1922, l'anno dopo che Carlo Guzzi e Giorgio Parodi avevano fondato la casa motociclistica. Il telaio è abbastanza simile a quello di una bicicletta, però è un gioiello per l'epoca in cui è nata, tre marce a mano, doppio freno che agiva solo sulla ruota posteriore. All'epoca, con le strade di ghiaino il freno anteriore era troppo pericoloso. È ancora funzionante». Tutti gli esemplari esposti sono infatti in perfetto stato di conservazione, lubrificati e pronti a partire. «In realtà mi limito a guardarle, a volta a metterle in moto per sentire il rombo - chiarisce Rampazzo - però ormai faccio poche uscite. Qualche corteo storico. Sono bellissime, ma naturalmente meno sicure di quelle di oggi, però quando le guidi senti il fascino della storia. Per me è sempre un'emozione».
La passione per le moto, o meglio per le Guzzi, Aurelio l'ha coltivata sin da piccolo. Sulla parete centrale del capannone c'è una gigantografia del padre Albino in sella ad una Guzzi Airone sport. «Era il mezzo di locomozione della famiglia, da bambino papà mi portava sul sellino. Quanta strada e quanta polvere ho mangiato. Purtroppo papà è mancato presto e a me è rimasta la moto, che i miei fratelli mi hanno dato in custodia. Era un po' datata. I miei coetanei andavano in giro con le giapponesi che cominciavano a imporsi, Honda e Suzuki. Lì è nata la voglia di conservare le Guzzi: le vedevo insidiate dall'arrivo di queste fiammanti giapponesi, ma mi rendevo conto che non avevano nulla da invidiare. Anzi le dico che una volta sono venuti in visita degli ingegneri giapponesi della Honda e, quando hanno visto la tecnologia che la Guzzi usava già negli anni Cinquanta, sono rimasti sbalorditi».



IL RACCONTO
Il racconto di Rampazzo è affascinate, mostra esemplari da corsa e sciorina nomi di campioni delle due ruote, che fanno parte del motociclismo pionieristico. «Questo è l'Albatros con cui Gianni Leoni ha vinto il campionato italiano nella classe 250, quello il Norge con cui Carlo Guzzi e Parodi nel 1928 sono andati fino a Capo Nord, e quella invece ha vinto il Tourist Trophy in Australia nel 1948 con Les Diener. Questo invece è un cronografo che è stato regalato al campione del mondo Bruno Ruffo per non aver vinto una gara. Era primo nel Gp di Inghilterra, ma dai box gli hanno ordinato di lasciare passare il compagno di squadra, perché era inglese. Lui non la prese molto bene!».

IL VALORE
Ma da dove arrivano tutte queste moto e quanto valgono? Rampazzo allarga le braccia: «Il valore dei pezzi storici dipende da molti fattori, soprattutto da quello passionale. Per un collezionista non c'è prezzo pur di accaparrarsi qualcosa che gli manca. Io sono arrivato a pagare 100mila euro per alcuni esemplari da corsa. Arrivano da tutto il mondo, dall'Australia, dal Giappone. L'acquisto più emozionante è avvenuto in un paesetto dell'Oltrepò Pavese: mi hanno accompagnato in una grotta buia, ho acceso una torcia e ho visto cinque esemplari da corsa. Ho avuto un tuffo al cuore. Le ho prese tutte. Una volta quando venivo a conoscenza dell'esistenza di qualche pezzo pregiato facevo di tutto per averlo. Però bisogna stare attenti, anche in questo settore ci sono i falsi. Io, modestia a parte, credo di avere solo Guzzi autentiche in tutte le componenti. Qui c'è la storia della moto italiana».



LE BICICLETTE
Non solo moto Guzzi, perché quasi in parallelo sono esposte le biciclette Bianchi, la marca per cui correva Fausto Coppi. Anche in questo caso si parte dalle origini: «Quella è del 1908 con il fanale a petrolio, quella del 1926 con il doppio rapporto: in cima alla salita si smontava la ruota per mettere il rapporto da discesa. Questa è più recente è la copia della bici con cui Felice Gimondi ha vinto il mondiale su strada nel 1978 a Barcellona».

È meglio fermarlo, Rampazzo vuole mostrare e illustrare tutti suoi gioielli: c'è la bici con il telaio interamente in legno usata durante la Seconda Guerra Mondiale per sopperire alla mancanza di componenti metallici, riservati agli scopi bellici. E la suggestiva Bersagliera, la bici che si ripiegava e i bersaglieri portavano sulle spalle mentre correvano. L'ultima chicca Rampazzo la riserva ancora alla Guzzi, con un modello che avrebbe fatto gola anche a James Bond, il mulo meccanico: «Negli anni Sessanta l'Esercito provò a mandare in pensione i muli, commissionando alla Guzzi un mezzo che li potesse sostituire: è nato questo mostro capace di arrampicarsi anche sui muri con ruote ad altezza variabile e cingoli. Il suo difetto era la stabilità, si rovesciava facilmente. Così i muli a quattro zampe hanno resistito ancora un po' e i settanta pezzi meccanici prodotti dalla Guzzi sono finiti in rottamazione. A parte questo». 

Aurelio Ramazzo sorride soddisfatto. Il tour può considerarsi finito, anche se lui avrebbe ancora moltissimo da raccontare. Gli brillano gli occhi mentre aziona gli ingranaggi di un motore esposto in una bacheca. Abbiamo parlato solo delle 80 Guzzi, ma le altre mille? «Quelle sono in un altro capannone più grande. La prossima volta che viene gliele faccio vedere».

(vittorio.pierobon@liobero.it)
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