Gli idoli della scaramanzia diventano arte nella mostra della Fondazione Ligabue

Sabato 15 Settembre 2018 di Paolo Navarro Dina
Gli idoli della scaramanzia diventano arte nella mostra della Fondazione Ligabue
VENEZIA - L'Idolo-placca di antichissima origine iberica ti guarda attraverso la vetrina con gli occhi spiritati. Strabuzza le orbite come a seguire il visitatore. Poco più in là la vezzosa Dama dell'Oxus nota con il nome profano di Venere Ligabue appoggia i capelli sulla spalla come volesse ammiccare a chi la guarda. Se potesse - magari - strizzerebbe l'occhio in modo sornione. E ancora donne formose, figure metà uomo e metà donne, guerrieri, divinità create ad immagini dell'uomo, suonatori di arpa che fanno immaginare movimenti flessuosi, dee Madri particolarmente prospere nei seni, nei fianchi, nel pube a dimostrazione del potere della Terra, della maternità e della fecondità.
ALL'ORIGINE DELL'UMANITÀ
Ed è un viaggio straordinario quello che si compie da ieri pomeriggio nelle sale dell'Istituto di Scienze, Lettere e arti in campo Santo Stefano a Venezia. Qui, tra le boiserie ottocentesche, Inti Ligabue, presidente della Fondazione omonima nel ricordo del padre Giancarlo, straordinaria figura di imprenditore, studioso, antropologo e mecenate scomparso alcuni anni, ha presentato Idoli. Il potere dell'immagine, un percorso espositivo attraverso un centinaio di reperti ritrovati, studiati e conservati in un ampio spazio geografico, dalla Penisola Iberica alla Valle dell'Indo e che, per l'occasione, ha unito pure le collezioni museali di alcuni Paesi europei.

 
La mostra, a cura di Annie Coubet, conservatrice onoraria del Louvre, indica relazioni, contatti, influenze sulle popolazioni del Bacino del Mediterraneo e del Vicino Oriente assolutamente straordinarie. «Sarà sorprendente - sottolinea Inti Ligabue a margine dell'inaugurazione della mostra - vedere come, in più parti del mondo tra loro lontanissime, si affermino tradizioni e forme di rappresentazione simili o si ritrovino materiali necessariamente giunti da Paesi distanti, eppure evidentemente in relazione tra loro come l'ossidiana della Sardegna e dell'Anatolia; i lapislazzuli importati dall'Afghanistan; l'avorio ottenuto dalle zanne degli ippopotami dell'Egitto o delle Coste del Levante».
CIVILTÁ IN RELAZIONE
E a conferma di questo anche la riflessione della curatrice Caubet: «Tra i fattori comuni - avverte - va annoverata la qualità artistica. Chi ha realizzato queste sculture erano artisti dotati di grande talento che, muovendosi tra il rispetto dei modelli allora tradizionali e l'innovazione, hanno saputo lasciare il segno». Ed è quello che si è proposta anche la Fondazione Ligabue che, nell'arco di questi ultimi tre anni, ha voluto focalizzare la propria attenzione sull'archeologia, la paleontologia e l'antropologia seguendo appieno il percorso che fu di Giancarlo Ligabue. Un itinerario storico-culturale sulle origini dell'Umanità che ha preso spunto con la mostra Il mondo che non c'era dedicato all'arte pre-colombiana; sviluppata con la seconda esposizione Prima dell'alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura e giunta così alla chiusura del ciclo affrontando la delicata questione degli Idoli e lo sviluppo di una iconografia ad hoc in materia di credenze e metafisica.
UN CAMMINO DI SEDUZIONE
Emerge così un vero cammino di seduzione dal 4000 al 2000 avanti Cristo, all'alba della civiltà. «Siamo di fronte alla cosiddetta rivoluzione neolitica che segna il passaggio da clan e tribù a società più consolidate e complesse - ricorda Ligabue - con nuove tecnologie e con la lavorazione dei metalli; le prime forme di scrittura e soprattutto l'avvio di nuove e più ampie relazioni commerciali che si trasformano in rapporti di interconnessione culturale. Con tutta le loro ambiguità». «Ad esempio - spiega ancora Coubet - gli studiosi sono concordi nell'interpretare le statuette femminili come espressione di concetti cosmici e metafisici collegati alla vita, alla morte o al ciclo della natura. Molte statuette provenienti dall'Arabia e dalle Cicladi appaiono tali. Non è chiaro se rappresentassero veri uomini di potere o esseri sovraumani. Con lo sviluppo delle prime società urbane soprattutto in Mesopotamia e Egitto alla fine del IV millennio avanti Cristo avviene un profondo cambiamento con l'entrata in scena di rappresentazioni di comuni mortali a tutti gli effetti».
RELAZIONI E CONTATTI
E così per venire incontro al visitatore non proprio avvezzo, la mostra propone alcuni parallelismi tra le statuine realizzate in Mesopotamia-Siria e quelle dell'Asia centrale, così come altre statuette in esposizione, una accanto all'altra possono far comprendere le relazioni esistenti tra l'area della Valle dell'Indo e l'arte dei Sumeri alla fine del III millennio.
Ma altri spunti emergono da questa esposizione. Uno di essi è senz'altro quello che mette in relazione queste civiltà antiche con gli idoli, le forme astratte e geometriche che hanno caratterizzato un periodo fecondo del Novecento (basti pensare al Cubismo e in particolar modo a Picasso) pronto ad indagare in modo nuovo sulle forme del corpo maschile e femminile e che, nel XX secolo, ci ha permesso di avere tanti capolavori. «Si tratta di un viaggio - conclude Ligabue - che ci conduce alle origini delle raffigurazioni del corpo umano. Valicando montagne, superando steppe e e deserti, queste opere d'arte conservate in tanti musei europei e dalla nostra Fondazione, ci rivelano connessioni trasversali, comunanze di stili e di sentire che, al di là delle distanze di allora, accomunano un po' tutti».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimo aggiornamento: 15:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci