VENEZIA - C'è un prezzo quando un amore si rompe. E la casa registra il trauma di andare a fondo insieme, nei gesti, negli spazi, nel disordine. La più incomunicabile delle disillusioni umane, quella del matrimonio che scende a patti con la fine, ritorna sullo schermo. A cinquant'anni dal modello di Ingmar Bergman, in cinque episodi (su Sky) dal 20 settembre, Hagai Levi prova a raccontare la disgregazione di una coppia di oggi nel remake di Scene da un matrimonio.
LA COPPIA
Di intimità fisica e intimità professionale parlano Jessica Chastain e Oscar Isaac. «Siamo amici da sempre, colleghi dai tempi del college, siamo anche nella stessa chat dei genitori - sorridono - e qui per la prima volta ci misuriamo con un'intimità pazzesca. Abbiamo cercato di superare il quarto muro!». Luminosa nel minidress panna (con giacchino abbinato) con una semplice coda di cavallo, Jessica Chastain illumina la stanza. «Mi sento italiana - sorride - New York, certo, è la mia base. Ma l'Italia è la mia casa. E poi: fate una quantità di pasta fantastica» alleggerisce. Un ruolo che l'ha messa a dura prova quello di Mira. «Per fortuna ho un marito meraviglioso (il conte trevigiano Gianluca Passi di Preposulo) che mi sostiene e con cui condivido ogni scelta. È stato un grande aiuto per questo ruolo». Nel remake di Hagai Levi sarà proprio la donna a prendere la decisione finale. «Quando ho iniziato il lavoro ho scritto una mail a Liv Ulmann (che già l'aveva diretta in Miss Julie ) e le ho detto. Non esiste un'altra Marianne. Tu sei lei. Io farò il mio personaggio».
Per Oscar Isaac questo film è una grande riflessione sul modo di dirsi addio. Io ho cercato una mia strada, tenendo sempre presente Bergman. E con una moglie scandinava non è difficile. Conosco le reazioni, conosco l'umorismo molto puntuto, è un mondo che non mi è affatto estraneo. Impegnato in 3 film a Venezia Isaac ribadisce la specialità del rapporto professionale con Jessica Chastain. E la fiducia nel lavoro, che li ha portati entrambi a diventare producer della serie. «È un progetto difficile - continua l'attore - essere amici è una benedizione e una maledizione. È un film così intenso che mantenere il nostro rapporto è stata una sfida». Levi rende il protagonista maschile, Jonatan, ebreo. «Ho visto il film di Bergman per la prima volta a 18 anni in un kibbutz. Non sapevo nulla, ed è stato uno shock. Ho voluto inserire il racconto in un mondo che conosco, fatto di inibizioni sessuali». La serie intende presentare, nei modi e nei tempi del genere, la radiografia di un amore ai titoli di coda. «Spero - conclude il regista - che questo film abbia un effetto catartico. Ci aiuti a capire come permettere la morte di un certo tipo di amore senza perdersi».