Anna Foglietta: «Prima madrina con la mascherina, qui per far tornare la gente al cinema»

Mercoledì 2 Settembre 2020 di Alda Vanzan
Anna Foglietta: «Prima madrina con la mascherina, qui per far tornare la gente al cinema»

Ride: «La prima madrina con la mascherina, fa anche rima». Ma anche la prima madrina ad avere mandato un messaggio agli «invisibili» del festival, tutti quelli che lavorano dietro le quinte. E anche se il sorriso, celato da una benda di seta avorio, stesso tessuto del griffatissimo tailleur pantalone, si può solo immaginare, ad Anna Foglietta bastano gli occhi per illuminarsi. Romana, 41 anni, innamorata del cinema, sarà lei questa sera ad aprire Venezia77, un festival che passerà alla storia se non altro per essere stato il primo a tenersi in piena emergenza sanitaria. 
 

 

Dice di averci pensato su quando Alberto Barbera, il direttore della Mostra, l'ha chiamata: «Eravamo ad aprile e mi son detta: io madrina? mi ci vedo?». Poi ha accettato. Anche per dare un messaggio. Al cinema. Ai colleghi attori e ai registi. Soprattutto al pubblico. Perché, dice, questa edizione «non è la Mostra del cinema di Venezia, è un'altra roba e come tale bisogna prenderla».

Cosa vuol dire?
«Che bisogna essere costruttivi, perché se non fosse stato così non ci sarebbe stato niente e in questo momento il niente non va bene. Il Covid ci ha messo in una condizione di chiusura totale, piano piano ci siamo riappropriati della nostra libertà e ora, lentamente, dobbiamo pensare che anche civilmente si può e si deve convivere con questo rischio».

Per mesi a casa: c'è il timore che gli spettatori non tornino più in sala?
«Rischiamo che le cattive abitudini diventino troppo consolidate e che una certa pigrizia prenda il sopravvento su un atto volontario, quasi pionieristico: l'andare al cinema. Ritornare ad andare in sala. Già prima del Covid purtroppo il cinema italiano viveva una crisi tra il pubblico e la sala. Però adesso si rischia davvero un pubblico in poltrona, nel senso che se ne sta sul proprio divano. E questo sarebbe insopportabile. L'industria, con Netflix e le piattaforme, sopravviverebbe. Ma è l'evento culturale che è importante. Noi artisti abbiamo una responsabilità enorme: dobbiamo essere generosi, ricreare una fidelizzazione tra il pubblico e la sala, andare noi in prima persona in sala. Come fa Carlo Verdone. Non dobbiamo avere una spocchia».
A proposito di Verdone, ma il film Si vive una volta sola con lei nel cast quando esce?
«Ah boh! Avevano detto dicembre, ora sento gennaio. Si è creato un imbuto».
I suoi prossimi impegni sul set?
«A metà settembre inizieranno le riprese del nuovo film di Marco Pontecorvo, la storia di Alfredino Rampi (il bambino caduto nel pozzo nel 1981, un dramma che scosse l'Italia, ndr) io sarò la mamma».
È vero che ha mandato un biglietto agli addetti della Mostra del cinema?
«Sì. Noi artisti durante il lockdown abbiamo parlato tanto degli invisibili, mi pareva doveroso mandare una mail di ringraziamento e di incoraggiamento a tutte le persone che non si vedono, ma che lavorano e che sono l'anima di questo festival. Senza di loro, questa macchina perfetta sarebbe imperfetta. Ho augurato loro buon lavoro e anche il modo e il tempo di farsi una sana risata: la leggerezza, in questo momento, è la vera medicina che può permetterci di fare un bellissimo festival, al netto del rigore e delle regole che dobbiamo tutti seguire».
Pronta per il discorso in Sala Grande?
«Il discorso è stato elaborato in un tempo lunghissimo, c'è stato anche un confronto con il presidente della Biennale Roberto Cicutto e con il direttore Alberto Barbera perché è un anno in cui ci si aspetta che si dicano anche delle cose precise. È stato un bellissimo confronto. Non pensavo che il ruolo di madrina desse questa opportunità di creatività e di scambio, l'aveva sempre vista come una brava padrona di casa. Parlerò di empatia, del bisogno di accoglienza, di cogliere i segnali di dolore negli altri e di trasformarli in qualcosa di proficuo. E parlerò anche di Venezia, di questa città che è stata molto colpita e di come sia necessario per noi italiani ritornare a farle avere un primato di spensieratezza».
Attrice e donna impegnata nel sociale con la Onlus Every child is my child. L'emergenza sanitaria ha un po' accantonato i diritti dei bambini?
«I bambini sono quelli che hanno pagato di più, l'emergenza sanitaria ha aumentato il divario tra bambini di serie A e bambini di serie B, che esistono anche in Italia. C'è stata una dispersione scolastica spaventosa, soprattutto nelle fasce economiche più disagiate, famiglie che non avevano né tablet né connessione web. Adesso si dice che tornare a scuola è pericoloso: ma la scuola per tanti bambini è un'ancora di salvataggio, garantisce un pasto al giorno e un'alternativa alla strada».
Alla cerimonia inaugurale famiglia in platea o a casa?
«Il marito in platea, i miei bambini a casa. Io li ho sempre portati con me, ma in questa occasione sentivo che avevo il bisogno di non avere distrazioni. Per noi artisti è stato veramente duro il lockdown, temevamo di non rivederci presto, neanche in queste circostanze. Penso sia un momento totalmente mio, voglio essere immersa totalmente nella mia famiglia che è il cinema».

Il primo ricordo di quant'è stata alla Mostra del cinema?
«Avrò avuto 21 anni, forse 22. Stavo in un monastero adattato a locanda, non c'erano più bici così noleggiai un tandem. E quando vidi David Lynch, ebbi un attacco di panico. E mi misi a strillare, come la più accanita dei fan».

Stavolta invece, a causa del muro anti Covid, i fan non vedranno niente. Dispiace?
«Vedere il pubblico dall'altra parte è bellissimo, ti dà una carica enorme.
Ma questa edizione è così, me la prendo così come viene, godendo già del privilegio di essere qui».

Ultimo aggiornamento: 10:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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