VENEZIA - Indagine contabile sugli incentivi previsti per i dirigenti del Provveditorato alle Opere pubbliche del Triveneto, l’ex Magistrato alle acque di Venezia, che si sono occupati di Mose e salvaguardia lagunare.
Mose, indagine sui super premi
Questione annosa, già al centro di una causa, che qualche anno fa aveva confermato la legittimità dei super-premi per i dipidenti. Il caso più eclatante è quello dell’ingegner Giampietro Majerle, già vice presidente del Magistrato alle acque, in pensione ormai da anni, a cui era stato riconosciuto un premio di 4 milioni per la sua attività di rup (responsabile unico del procedimento) del Mose. Premio versato solo in parte, poi congelato. Nei mesi scorsi Majerle aveva chiesto il pagamento dei restanti 3 milioni e 100 euro. Il Provveditorato, però, sentito il ministero, si è opposto all’ingiunzione di pagamento, in quanto la cifra supererebbe il tetto previsto per i dipendenti pubblici. Ed ecco i nuovi accertamenti in corso.
La Guardia di Finanza, su mandato dalla Procura contabile, ha chiesto di prendere visione della documentazione relativa a tutti gli incentivi legati ai lavori di salvaguardia. Al rup del Mose era stata riconosciuta la fetta di premio più ampia, mentre a chi aveva collaborato alla sua attività incentivi minori. Numeri importanti perché calcolati in proporzione al valore dell’opera. Introdotti da una legge del ‘94, i premi erano stati ridimensionati vent’anni dopo da un’altra norma, all’indomani dello scandalo Mose. Qualche anno fa la Corte dei conti aveva anche avanzato un rilievo sulla legittimità di questi incentivi e a quel punto lo stesso Provveditorato ne aveva chiesto la restituzione ai dipendenti. Ma gli interessati avevano fatto causa in Tribunale, che gli ha dato ragione anche in appello. Si è arrivati così all’ingiunzione di pagamento, all’opposizione, fino all’intervento della Guardia di Finanza. Materia controversia, insomma, che non è ancora definitivamente chiarita.
Sullo sfondo resta il tema dei tanti soldi che ruotano attorno alla grande opera (il costo finale del Mose supererà i 6 miliardi e mezzo) e dei tanti appetiti che hanno generato e nutrito. Quelli illegittimi, legati alla corruzione, scoperchiata dall’inchiesta, ma anche quelli legittimi. Oltre agli incentivi per i dipendenti pubblici, i costi dei vari commissari, dei numerosissimi consulenti. L’ultima polemica estiva è stata quella legata proprio al compenso del commissario liquidatore del Consorzio Venezia Nuova, Massimo Miani. Sulla base delle percentuali legate al valore delle società che è stato chiamato ad amministrare, oltre a Cvn Comar, aveva chiesto al ministero un compenso di 5 milioni. Il suo impegno, iniziato a fine 2019, dovrebbe concludersi nel 2025. Cifra in linea con la normativa prevista per le amministrazioni giudiziarie, a cui però il Parlamento ha ora messo un tetto. I 5 milioni dovrebbero scendere a uno e mezzo.
Sul tema della sproporzione tra i compensi dei vari attori in campo per il Mose, era intervenuta, nei giorni scorsi, anche l’ex provveditore Cinzia Zincone, sospesa un anno fa dall’incarico e per questo in causa con il ministero. «La differenza di stipendio tra un funzionario pubblico e un privato pagato con i soldi pubblici è abissale - aveva scritto sul suo profilo Facebook - alimenta la corruzione, anzi la genera».