Il commissario del Mose: «Un buco da 200 milioni»

Martedì 19 Novembre 2019
Il commissario del Mose: «Un buco da 200 milioni»
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VENEZIA - Margini operativi altissimi per le aziende che hanno continuato a guadagnare sul sistema Mose, anche dopo gli arresti di cinque anni fa, anche quando il Consorzio Venezia Nuova è stata affidato ai commissari straordinari che ancora lo reggono. E le ultime scoperte di fatture strane sono di quest'anno, quando su richiesta della Procura della Corte dei Conti, gli stessi commissari hanno passato in rassegna 18mila fatture di Comar, dagli anni prima dell'inchiesta fino al 2019. Una verifica durata oltre sei mesi, conclusasi poche settimane fa, su fatture per affidamenti che andavano in gran parte alle tre grandi aziende del Consorzio, oggi sotto procedura: Mantovani, Condotte e Fincosit. A raccontarlo ieri è stato uno dei due commissari straordinari, l'avvocato Giuseppe Fiengo, ospite di Agorà su Rai Tre. «Adesso abbiamo fatto fare, su richiesta della Corte dei Conte, una verifica su Comar - ha spiegato -. Abbiamo guardato 18 mila fatture per cercare di capire. E ci siamo accorti che c'erano  margini operativi che andavano dal 48 al 61%! Significa che io pagavo 100 e loro guadagnava 48 o 61. Non so se è chiaro!». Un tema, questo del ripristino della legalità, su cui i commissari hanno sempre insistito, sottolineando la difficoltà di rimettere ordine in un meccanismo abituato a gonfiare i conti a carico dello Stato. «Noi abbiamo trovato, quando siamo arrivati là, un buco da 200 milioni e rotti» ha ribadito anche ieri Fiengo.
IMPIANTI A METÀUn'operazione di riordino sul fronte contabile, ma anche su quello tecnico. E ieri il commissario ha parlato anche del nodo degli impianti, quelli che se fossero stati operativi avrebbero consentito di alzare le paratoie del Mose. «Abbiamo trovato una situazione un po' strana. Il 95%, 93%, quello che è, riguarda la spesa. Cioè che cosa hanno fatto queste imprese. Le tre grandi imprese che poi si sono allontanate. Hanno comprato i macchinari. Ma non hanno fatto i progetti degli impianti. Non hanno messo in gara i progetti degli impianti. Non solo, ma tutto questo senza disegni operativi. Questo è avvenuto nel 2016». Un pasticcio, più volte denunciato. Fiengo ha ribadito che è stata trovata «una situazione in cui si erano comprate le macchine, ma non si era deciso come montarle». Con disegni in cui il tubo da un metro e quello da cinquanta centimetri erano segnati con lo stesso tratto! Alla fine, per arrivare ad una soluzione, il progetto degli impianti è stato affidato alle stesse aziende che avevano fornito i pezzi.
LA MAXI CAUSAMa i tempi si sono dilatati, in un crescendo di contenzioso legale. Le grandi imprese, ha ricordato Fiengo, «a me hanno fatto personalmente una causa per avere da me e da Ossola (l'altro commissario, con incarico tecnico, ndr.) 190 milioni di euro perché secondo loro ho agito nell'interesse dello Stato e non delle imprese. Così c'è scritto nella citazione!».
IL NODO MANUTENZIONEResta il fatto che i lavori si sono arenati. E dopo l'iniziale opera di ordine-pulizia, i commissari, ridotti a due, non sono riusciti a far ripartire i cantiere. Ieri Fiengo si è limitato a rassicurare sulla questione della corrosione. «È uno pseudo problema. Perché sotto il mare la ruggine c'è dappertutto. Il problema è un altro: all'epoca furono scelti dei materiali non eccezionalmente durevoli. Stiamo facendo una gara pubblica per capire come risolvere questo problema». Una gara, anche questa, che sta procedendo al rallentatore, tra richieste di chiarimenti e sospensioni.
R. Br.
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