Raul Gardini e il sogno del Moro di Venezia, quella passione che portò la vela italiana ai massimi livelli

Venerdì 6 Maggio 2022 di Edoardo Pittalis
Raul Gardini e il sogno del Moro di Venezia

Trent'anni fa c'erano tutti a Venezia col Moro a festeggiare la prima barca italiana che nella storia aveva vinto la Louis Vuitton Cup, la sola di un paese non anglofono che in un secolo e mezzo aveva conteso la Coppa America a uno scafo americano. Una sconfitta che, però, era anche un'impresa e che aveva fatto scoprire all'Italia una nuova passione sportiva. Non c'era soltanto il calcio. Gli italiani fecero le ore piccole davanti alla tv per seguire la sagoma rossa del Moro di Venezia che strambava, cazzava, tra boline, spinnaker, skipper. Tanti termini fino ad allora quasi sconosciuti con i quali gli italiani incominciarono a prendere confidenza. E persino, almeno per un attimo, ad accarezzare l'idea della vittoria. Era anche il giorno del compleanno di Raul Gardini, il paron del Moro e dell'impresa.

Cinquantanove anni compiuti alzando le braccia sotto la sagoma del leone sulla vela che aveva riportato sui mari la grandezza della Serenissima. Lo champagne che saltava dalla bottiglia come sul podio della Formula Uno, cappellini, magliette scure con simboli colorati. E in alto la sigla ITA25 gigantesca in cima alla randa.


LA GARA
Il 30 aprile 1992 quella barca a San Diego in California era entrata nella storia del più prestigioso, avventuroso e antico torneo della vela: l'America's Cup. Prima l'equipaggio del Moro aveva battuto i francesi e gli spagnoli, poi il Team New Zealand facendo proprio il trofeo Vuitton e guadagnandosi il diritto alla sfida finale contro USA23. Il sogno si fermò nelle acque di San Diego, ma non si spense. Gardini promise di riprovarci, c'era già in progettazione la nuova barca, ancora più sofisticata: a Tencara nei cantieri Enimont di Porto Marghera erano incominciati i lavori del Moro Due. Su quel palco davanti alla Madonna della Salute, dove basta allungare un braccio per arrivare al bacino di San Marco e dove il mondo della Serenissima sembrava finire e iniziare, Gardini fu per un giorno il padrone del mondo. Nella grande industria, quasi che fosse necessario un soprannome per essere popolari, lo chiamavano il Contadino per distinguerlo dall'Avvocato Agnelli e dall'Ingegnere De Benedetti, sulla rampa di lancio c'era già il Cavaliere, Silvio Berlusconi. Gardini raccontò come era nata quella barca che aveva quasi sconfitto l'America, cosa molto difficile.
LA LEGGENDA
Il re del the, Lipton, ci aveva provato senza riuscirsi quasi ininterrottamente dal 1903 al 1930 spendendo una fortuna solo per sentirsi dire che era testardo e coraggioso. Certo costava davvero tanto soltanto provarci. L'Italia non sapeva nemmeno cosa fosse quella coppa, che chiamano delle 100 Ghinee, fino all'estate del 1983 quando ci provò Azzurra. Dietro c'erano Gianni Agnelli e l'Aga Khan e al timone lo skipper Cino Ricci. Non mi piacciono le figuracce, rispose il signore della Fiat a chi gli aveva proposto l'avventura. Poi il senso della sfida prevalse, l'orgoglio lo spinse prima a cercare un partner altrettanto ricco e poi a spendere per varare la barca adatta, Azzurra. Fu una passione da 100 milioni di dollari. Aprì la strada. Quel giorno di festa a Venezia, Gardini raccontò che la sua voglia di vincere era nata nel settembre 1988 in un albergo di San Francisco dove si era incontrato col giovane Paul Cayard, forse il più grande timoniere in circolazione, Gabriele Rafanelli direttore amministrativo dell'operazione e German Frers il progettista. C'erano voluti cinque anni per costruire un Moro dietro l'altro, sempre più veloce, sempre più leggero. All'ultimo, quella della grande sfida, lavoravano 220 persone tra San Diego e Marghera-Compagnia della Vela, tra tecnici, progettisti, specialisti. Scafo, alberi, vele, materiali già testati in F1 dalla Ferrari e dalla McLaren; un cervello elettronico da montare a bordo.
IL PALCOSCENICO
Non bastava più affidarsi all'esperienza per calcolare il vento, bisogna decifrare in un attimo i segnali dei satelliti. Una gara contro il tempo per limare secondo su secondo con impiego di tecnologie sempre più sofisticate, per rendere una barca di 24 metri sempre più affidabile. Tutto diventava più grande, tutto entrava direttamente nel futuro. Quel Moro era un palcoscenico enorme, accontentava la voglia della sfida e anche l'ambizione dell'uomo e i suoi sogni. Le gare americane furono emozionanti e perfino sorprendenti, da casa anche quando le barche si fermavano perché l'aria era immobile si tifava come se gli scafi scivolassero sopra l'acqua come aliscafi. I lettori del Gazzettino avevano un cantore straordinario di quelle regate, era partito per San Diego come inviato Beppe Donazzan che poi avrebbe raccontato uomini e onde in un bel libro. Quel giorno a Venezia Gardini promise che era già tutto pronto per riprovarci e che questa volta il nuovo Moro avrebbe vinto. Erano già stati stanziati investimenti per 60 milioni di dollari. Disse che il mare per lui era la vita: Calmo, agitato. Non me ne accorgo. E' la realtà più indispensabile della mia vita.
LA FINE
Il nuovo Moro non è mai uscito in mare per una sfida. Deve essere da qualche parte abbandonato. Altre barche italiane, da Luna Rossa Prada, hanno tentato l'avventura della Coppa America, con meno successo del Moro. Un anno dopo quella festa in laguna, una mattina di fine luglio 1993, Raul Gardini chiuse i conti con le barche e la vita. Al piano alto di Palazzo Belgioioso nel centro di Milano si sentì un colpo di pistola, diverso da quelli dello starter per annunciare la partenza. Questo era come il suono di una campana. Gardini si portò via i ricordi, i sogni di gloria, e anche dicono i segreti che non voleva raccontare. Usciva di scena il Contadino che aveva dominato a lungo il mondo economico.
FERRUZZI
Aveva ereditato un impero non soltanto agricolo alla morte del suocero Serafino Ferruzzi, scomparso in un incidente aereo nel 1979. Si vantava, come un imperatore, che sul suo impero non tramontava mai il sole. Aveva tenute nelle Americhe più grandi di molte regioni italiane, sul Mississippi i suoi silos filtravano tutti i cereali degli Stati Uniti. Gardini provò a innovare quell'impero, a consolidarlo con l'esclusiva dello zucchero, poi dell'amido, poi della soia. Infine, s'invaghi dell'idea di costruire un colosso energetico italiano. Con l'Eni creò Enimont, voleva realizzare un grande gruppo chimico italiano. Fu il primo a parlare di ecosostenibilità, di chimica verde. Le compagnie petrolifere gli dichiararono guerra. Era un padre padrone, accentrava, osava, non rifiutava le sfide negli affari e sul mare. Andava ai ricevimenti dell'Eliseo invitato direttamente da Mitterrand. Nella sua casa veneziana di Ca' Dario sul Canal Grande riceveva Gorbaciov e Clinton. Solo Gianni Agnelli non volle mai mettere piede in quello che chiamano il palazzo maledetto.
Certo ha commesso errori, forse i suoi pregi sono stati superiori agli sbagli. Forse come nella Coppa America ha speso tutto per una vittoria che poi non c'è stata. L'estate del 1993 era quella di Mani pulite. Gardini aveva saputo che qualche giorno prima in carcere a San Vittore si era tolto la vita il suo amico dell'Eni, Gabriele Cagliari, e si era convinto che subito dopo i magistrati avrebbero puntato su di lui. In quel dedalo di indagini decine di persone si tolsero la vita. Certo come ha detto il magistrato Davigo: Le conseguenze dei delitti ricadono su coloro che li commettono, non su coloro che li scoprono. La mattina che Gardini si sparò arrivarono a palazzo Belgioioso i magistrati con Di Pietro in testa. Il Contadino dell'industria non aveva mai incontrato prima il Contadino della toga. La folla fuori applaudiva. Anche quella era l'Italia. Ma l'uomo non sentiva più nessun rumore e il mare non era più la cosa indispensabile della vita.
 

Ultimo aggiornamento: 14:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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