Il prefetto di Venezia Boffi: «Cona non è un lager ma deve essere chiuso»

Domenica 26 Novembre 2017 di Tiziano Graziottin
Il prefetto di Venezia Boffi: «Cona non è un lager ma deve essere chiuso»
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Alla fine gli irriducibili hanno alzato bandiera bianca senza nemmeno arrivare sui ponti di Venezia: dopo cinque giornate di spostamenti e bivacchi tra Padova e Mestre il gruppo di migranti - una sessantina - uscito da Cona lunedì ha fatto rientro venerdì sera nell'ex base. Tensione a volte alle stelle, malori, faccia a faccia ruvidi ma la marcia di protesta verso il capoluogo non è stata neanche abbozzata, restando solo nelle intenzioni dei duri che a un certo punto si sono trovati isolati, costretti senza colpo ferire a salire sui pullman diretti verso l'odiata struttura di Conetta. Un successo, innegabilmente, per il prefetto di Venezia Carlo Boffi, che ci ha messo la faccia, è andato più volte a parlamentare con i portavoce dei migranti fuoriusciti e infine li ha portati dove voleva, al bivio tra il ritorno a Cona e lo spettro (per i richiedenti asilo) di perdere ogni possibilità di rimanere legalmente sul suolo italiano.

Prefetto Boffi, una trattativa infinita, mix di dialogo e fermezza. Il suo bilancio?
«Sono stati oggettivamente giorni pesanti, la nostra volontà di tener sempre aperta la porta del dialogo ha generato una trattativa faticosissima ed estenuante. Ma col buon senso, senza sbraitare, abbiamo fatto rispettare le regole, che ci sono per noi come per i ragazzi che erano usciti da Cona. Non si poteva far passare il messaggio che chi protesta è avvantaggiato e ci siamo riusciti».
 
Ci sono state delle critiche perché questo suo atteggiamento è stato scambiato da qualcuno per arrendevolezza.
«La linea è di fare in modo che in caso di proteste e tensioni non ci siano disagi e danneggiamenti, i risultati ci hanno dato ragione. Per dirne una: gli edifici che hanno ospitato i migranti in questi giorni a Malcontenta e a Spinea sono stati restituiti senza alcun danno. C'è stato solo il finestrino di un bus rotto: direi che è un buon bilancio considerando da dove si partiva e i giorni complicatissimi che abbiamo affrontato».

Molto si è detto e scritto sulla strumentalizzazione della disperazione dei migranti. Lei che idea si è fatto?
«Alcune situazioni sono già emerse con chiarezza. Io posso dire che c'erano persone che li mandavano avanti con richieste anche provocatorie, esponenti di Usb e attivisti dei centri sociali. Ad esempio a Malcontenta grazie anche alla mediazione del sindaco di Cona si era arrivati vicino a un punto di svolta, poi sono emerse nuove proposte totalmente irricevibili».

Può fare qualche esempio?
«Al di là del fatto che volevano essere avvantaggiati rispetto agli 800 che se n'erano rimasti tranquilli a Cona, e già su questo non c'era evidentemente alcun margine di trattativa, pensi che ad un certo punto è spuntato un documento che io avrei dovuto firmare nel quale si criticava l'atteggiamento dell'Italia nella gestione dell'emergenza migranti... Dovevo impegnarmi su una chiusura immediata di Cona e a istituire una commissione d'inchiesta formata da esponenti dei centri sociali per ispezioni settimanali».

Ma lo svuotamento in atto dell'hub di Cona può portare effettivamente alla chiusura dell'ex base o è una pia intenzione senza concrete possibilità?
«Intanto vorrei evidenziare che Cona non è quel lager che qualcuno ha cercato di dipingere, ci sono controlli frequenti e di ogni tipo. E' vero che i migranti sono ospitati in tensostrutture ma di notte, per dire, ci sono 18-19 gradi. Poi è chiaro che mettere quei ragazzi in una landa desolata lontano da ogni centro abitato non può certo favorire l'integrazione... La volontà del ministero è di alleggerire l'hub di Conetta fino a chiuderlo, da 1.500 che erano ospitati lì siamo a 1100 e domani ne saranno smistati sul territorio un altro centinaio. La stretta sugli sbarchi ci aiuta, ma come noto servirebbero più strutture alloggiative e i nostri bandi vanno quasi sempre deserti».

Nei momenti più caldi il contributo del Patriarcato è stato importante.
«Sì, sono stato in contatto frequente con monsignor Pistolato (il braccio destro del patriarca Moraglia, ndr), ci hanno aiutato a trovare soluzioni non solo sotto l'aspetto alloggiativo. Abbiamo deciso di coinvolgere nella cabina di regia il Patriarcato e le associazioni di categoria proprio perché per gestire questa situazione così complessa serve l'aiuto di tutti sul territorio».

Il sindaco di Venezia Brugnaro ha detto che paventava scontri in città. Anche lei ad un certo punto ha temuto il peggio?
«Sinceramente no. Per menare le mani bisogna essere in due e da parte nostra è sempre stata chiarissima la volontà di cercare il dialogo ed evitare il confronto a muso duro».

Cosa le resta di questi giorni caotici?
«Da un lato il grande dispiacere per il ragazzo morto in bicicletta, avevamo fatto di tutto per evitare non solo situazioni di tensione ma anche ogni possibile pericolo per i migranti in marcia. Dall'altro la consapevolezza di aver fatto tutto quello che potevo, chi c'era sa che il dialogo è sempre stato franco, aperto. E sotto gli occhi di tutti, di questi tempi in cui si invoca la trasparenza».
Ultimo aggiornamento: 10:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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