MESTRE (VENEZIA) Ha lavorato anche nei cantieri del tram di Mestre, mentre costruiva un pezzo di metropolitana a Roma e un altro a Milano e fatturava milioni di euro alle Ferrovie dello Stato per lavori e manutenzioni. Ma lui, da solo, ha riciclato 6 milioni e rotti di euro della ndrangheta. Dunque ha ragione il pm Paola Tonini quando dice che l'unica consolazione è aver fatto recuperare per intero la somma al Fisco, mentre c'è da farsi venire i brividi a vedere con quanta facilità la ndrangheta abbia fatto breccia nel mondo imprenditoriale veneto. Federico Semenzato, imprenditore mestrino oggi 53enne, ha infatti già versato all'Agenzia delle entrate 5 milioni e rotti mentre un altro milione e mezzo lo verserà il 10 dicembre, fra pochi giorni, quanto patteggerà la pena di 2 anni e 4 mesi, ma la sua vicenda racconta alla perfezione in che modo il Veneto abbia spalancato le porte a mafia, camorra e ndrangheta.
LAVORI OVUNQUE
Federico Semenzato, infatti, fino al momento dell'arresto, nel 2019, aveva una solidissima posizione nel mondo delle imprese ferroviarie visto che con le sue società ha partecipato ai lavori della linea 5 della metropolitana milanese e alla metro C di Roma, così come alla posa dei binari del tram di Mestre, mentre manteneva appalti di ogni tipo con le Ferrovie dello stato. Una azienda solidissima la sua che arrivava, con i fratelli e la madre, a possedere e gestire anche alberghi e immobili di lusso a Mestre e Venezia. «Per i lavori del tram a Mestre eravamo in subappalto con la Mantovani, ha detto ieri n aula bunker Semenzato, testimoniando nel processo contro Sergio Bolognino, esponente di spicco assieme al fratello Michele, della cosca Grande Aracri che spadroneggiava in Veneto ed Emilia Romagna grazie alla complicità di un numero infinito di imprenditori come Federico Semenzato che, pur con ditte blasonate e senza problemi di liquidità alle spalle, non disdegnavano di aver contatti con chi proponeva di truffare il fisco con le fatture false. Del resto par di capire che il meccanismo del nero in azienda fosse iniziato ben prima che Federico Semenzato arrivasse a dirigere la Sogeco.
IL GIRO DI SOLDI
Ma è a lui che il clan della ndrangheta, attraverso l'intermediazione di un altro imprenditore di Camposampiero (Pd), Leonardo Lovo, ha fornito ogni mese e per 10 anni circa 50 mila euro. Vuol dire 600 mila euro all'anno, più o meno, che in dieci anni fa quei 6 milioni di euro fatturati in nero da Semenzato. Ma i soldi che i Bolognino gli davano attraverso l'intermediazione di Lovo erano quattrini derivanti dalle losche imprese di uno dei clan più potenti, più feroci, più ricchi e più importanti della ndrangheta. I Bolognino sono già stati condannati nell'operazione Aemilia e pure in un troncone del processo gemello a questo di Mestre che si è svolto a Padova. Adesso qui a Mestre si celebra solo la parte relativa al riciclaggio. Federico Semenzato in aula ha detto di non aver mai sospettato di essere finito nelle mani della ndrangheta visto che lui i contatti li teneva solo con Leonardo Lovo, imprenditore nel settore edile, finito nel tritacarne della malavita organizzata per via di un prestito a strozzo di 50 mila euro che nel giro di poco tempo si era gonfiato a raggiungere la cifra di 200 mila euro più 40 mila di interessi. Ed è proprio Leonardo Lovo che viene a sapere che in giro c'è questo Federico Semenzato che aveva bisogno di questo tipo di fatturazioni. Inizia così e finisce con un Federico Semenzato evidentemente provato nel fisico e nello spirito che, in aula bunker, tenta di spiegare quel che è successo: «Avevo bisogno di contanti. Ad esempio 100 mila euro per pagare due capocantiere del cantiere di Milano della metro. Sono andato a Reggio Emilia con Lovo e lì ho preso 100 mila euro in contanti». Poi le fatture false, l'Iva che diventa un modo per pagare l'intermediazione di Lovo e via così. Sempre così. Semplice e inquietante allo stesso tempo perchè lo stesso Lovo chiarisce che altri imprenditori «avevano bisogno di questo tipo di servizio di fatturazioni false».
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