Come in quella vecchia canzone: spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè... Ma chi paga il pranzo agli insegnanti e ai bidelli in servizio nelle scuole statali? In teoria il loro datore di lavoro e cioè il ministero dell'Istruzione. In pratica anche i Comuni, costretti a sostenere la spesa del secondo piatto, dato che i fondi erogati da Roma coprono solo il primo, il contorno, il pane e la frutta. Così almeno è andata fino alla sentenza-pilota, depositata a ridosso di Natale, con cui la Corte d'Appello di Venezia ha accolto il ricorso del municipio di Quarto d'Altino, stabilendo che debba essere rimborsato dei soldi versati: «Circa 5.000 euro all'anno, che possono sembrare pochi, ma per una piccola comunità come la nostra valgono cento sedie per il centro anziani», sottolinea il sindaco Claudio Grosso.
IL CONTENZIOSO
Al centro del contenzioso erano la scuola dell'infanzia e la primaria, che fanno capo all'istituto comprensivo Roncalli.
Il ministero e l'istituto avevano replicato che il municipio è «investito ex lege (per legge, ndr.) del dovere di erogare il citato servizio». Le maestre e la Cisl Scuola, sostenendo che «il pasto ridotto fornito ai lavoratori costituisce un illecito», avevano concluso che «l'onere della relativa spesa è una questione che riguarda i rapporti tra lo Stato e l'ente locale, ininfluente ai fini dell'accertamento del diritto dei lavoratori».
LE MOTIVAZIONI
Quest'ultimo è infatti sancito dal contratto collettivo nazionale di categoria. Il problema è che, come si legge nelle motivazioni della sentenza, «non esiste, pacificamente, alcuna fonte normativa o pattizia che specifichi il contenuto del diritto in esame, ovverosia cosa deve comprendere il pasto gratuito». Solo spaghetti e insalatina, più frutto e pane, o anche pollo? I giudici ricordano che il servizio mensa è una «agevolazione con funzione assistenziale», cioè ha lo scopo di «garantire il benessere psicofisico dei docenti e personale Ata». Al riguardo, «non vi sono tuttavia elementi per ritenere accertato che il pasto erogato ai docenti» non sia sufficiente «a ristorare il lavoratore in servizio». Della serie: può bastare anche un pranzo leggero. In ogni caso, «deve ritenersi che la destinazione al servizio mensa dei docenti di un importo tale da consentire l'erogazione anche della seconda portata sia una questione demandata al piano del riparto dei fondi destinati alla contrattazione collettiva, il merito del quale non è sindacabile in questa sede». Dunque dovranno pensarci ministero e sindacati, al prossimo rinnovo del contratto.
Nell'attesa, il Comune potrà ottenere il rimborso dell'importo versato finora e pagare solo una parte delle spese di lite, «in considerazione della novità e della complessità della questione»: non c'erano infatti precedenti in merito. «Non ho nulla contro gli insegnanti commenta il sindaco Grosso a cui anzi vanno il mio rispetto e la mia stima. Ma il pagamento del pasto spetta al loro datore di lavoro, non ai cittadini di Quarto d'Altino, che potranno beneficiare di 5.000 euro all'anno per attività sociali».