Caterina, medico in prima linea a New York, eroina degli italiani d'America

Venerdì 4 Giugno 2021 di Nicola Munaro
Caterina Tiozzo durante la vaccinazione

VENEZIA - Caterina Tiozzo, veneziana di Mestre, medico neonatologa dell’Nyu, la New York University, è un volto che da ieri tutti gli italiani d’America conoscono. Perché la sua storia in questi mesi di pandemia è una delle quattro storie scelte dal regista Francesco Carrozzini per il suo New York italian stories, il cortometraggio con cui il Consolato italiano nella Grande mela ha aperto ieri i festeggiamenti (rigorosamente virtuali) della festa della Repubblica. 

Caterina, come Giorgio Spanu e sua moglie Nancy Olnik Spanu, fondatori di un magazzino per artisti; l’imprenditrice Beatrice Ughi e Antonio Tomarchio, titolare di un’agenzia di analisi dati. Tutti italiani diventati newyorkesi, tutti che hanno cambiato la loro vita per plasmarsi su quanto la pandemia aveva portato nelle loro vite. 
La storia di Caterina Tiozzo nel cortometraggio scelto dal Consolato si apre con un videomessaggio alla mamma in cui racconta la «giornata dura qui in ospedale, con bambini in arresto cardiaco, uno dei quali prematuro con una delle mamme affette da Covid». 

«Noi, artisti del corpo»

E poi tocca a lei descriversi, dire chi è. Raccontarsi. «Con i neonati c’è l’inizio di un sogno che diventa realtà e siccome sono un po’ una sognatrice, mi piace aiutare le persone a realizzare i propri sogni» si apre alla telecamera, «anche se non riesco a guardare in camera quando parlo», ride.
«Io dico sempre che i medici sono degli artisti del corpo, nel senso che noi dobbiamo saper leggere il corpo dei nostri pazienti, io dei miei bambini - continua la dottoressa neonatologa -. Però come artista ho bisogno di nutrire la mia anima e quindi devo andare a vedere i musei, al Broadway show, devo fare qualcosa di alternativo che mi permette di tenere il mio cervello vivo e far sì che la mia anima sia nutrita».

Quei video per Johnny

Poi la storia che più ha colpito e che Caterina racconta con il sorriso stampato in volto e inchiodato dalla telecamera. «A marzo, aprile ero letteralmente stressata e tutti lo sapevano. C’era questo bambino, Jhonny, un bambino bellissimo, ricoverato da noi - dice al regista Carrozzini - Un giorno la mamma e il papà chiamano e dicono: “Non stiamo bene, non veniamo, abbiamo paura di avere il Covid”. All’epoca non c’erano i test negli Stati Uniti e non sarebbero stati testati all’ingresso dell’ospedale, ma loro si sono autoisolati e per due settimane non sono venuti per proteggere il loro bimbo e per proteggere noi». Lì, l’idea. «Per farli essere parte nella vita di loro figlio io facevo dei video o Facetime» girando i video e trasmettendo le dirette ai genitori stessi.
Un sogno? Un’emozione? «Una volta sono andata a Central Park con una mia amica e i suoi due bambini. La figlia, nella sua ingenuità da bambina si è seduta sulle mie ginocchia e la cosa mi ha emozionato». 
Ed è ancora la sua voce a chiudere il cortometraggio. «Sarebbe bello tornare in Italia». Storia di una dottoressa mestrina a New York.

Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 09:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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