Massimo, campione di Triathlon, e quella volta che «Pantani mi frenò»

Lunedì 27 Agosto 2018 di Edoardo Pittalis
Massimo, campione di Triathlon, e quella volta che «Pantani mi frenò»
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I ricordi del mestrino Massimo Cigana, già professionista sulle due ruote, compagno di squadra del Pirata fino al 2003 quando un incidente in bicicletta gli stroncò la carriera. «Mi urlò in corsa che stavo andando troppo forte per lui. Io ero solo un gregario», Oggi è campione di Triathlon a livello nazionale e internazionale: «Ma fare sport in Italia è difficile».



IL PERSONAGGIO
Per stargli dietro devi nuotare i 1500 metri in una ventina di minuti, coprire 40 chilometri in bicicletta in poco più di 50 minuti e fare di corsa 10 chilometri in mezz'ora. Per dare un'idea: Paltrinieri, campione olimpico e mondiale,  nuota la distanza in un quarto d'ora; al Giro una tappa veloce in pianura si corre alla velocità di 50 chilometri orari; e i diecimila metri su pista richiedono un tempo che sfiora i 28 minuti. Insomma, per essere un campione di Triathlon devi essere davvero un po' speciale. E Massimo Cigana, 44 anni, nato a Mestre, lo è. È stato un ciclista sul quale le grandi squadre puntavano, gregario di lusso di Marco Pantani, poi una caduta gli ha troncato la carriera. Dopo mesi d'ospedale pesava sessanta chili, ha incominciato a nuotare e correre e, naturalmente, a pedalare. E si è scoperto triathleta, oggi nella categoria over 40 è il più forte in Italia e uno dei più forti al mondo. 
Nei suoi ricordi la volta in cui staccò in salita nientemeno che Pantani, nel Giro del Veneto del 2000, sul Roccolo nei Colli Euganei: «È la mia grossissima soddisfazione da professionista, attesi Pantani che seguiva. Mi misi a fare l'andatura e lui mi gridò che stavo andando troppo forte. Rallentai e gli passai la borraccia. Già mettere in difficoltà Pantani in salita era una cosa da raccontare ai nipoti!».
Quando è finita la sua carriera di ciclista professionista?
«Ho smesso nell'ottobre del 2003 e ho incominciato a fare triathlon per puro caso. Quando scesi dal letto avevo bisogno di fisioterapia e di ginnastica. Mi proposero di allenarmi in acqua, mentre si preparavano i triathleti, avevo una corsia a parte. Da quel momento ho iniziato anche a correre a piedi, a nuotare cosa che non avevo mai fatto poi naturalmente la bicicletta. Era l'alba del 2004 e senza saperlo ero già dentro il Triathlon, da allora è stato un continuo miglioramento, quell'anno mi sono guadagnato le prime convocazioni in maglia azzurra».
Aveva sognato un futuro da campione?
«Ho incominciato da piccolissimo a fare sport, ho fatto anche due anni di ginnastica artistica alla Spes di Mestre. Giocavo sempre fuori per le stradine a Carpenedo, ci divertivamo all'aria aperta, a piedi scalzi. Naturalmente avevamo tutti una piccola bicicletta. A 10 anni ero alla Mogliano85 dove correva già mio fratello più grande e ho fatto tutte le categorie giovanili. Nel 1993 sono passato dilettante con la MGBoys che era la squadra più forte del Veneto. Il 1997 è stata la mia stagione migliore, sette gare vinte e il secondo posto al Giro d'Italia dilettanti. In quel momento si è fatta avanti la MercatoneUno con un contratto da professionista, a partire dal Duemila. Era la squadra di Marco Pantani! Che cosa potevo desiderare di più?».
È stato duro fare il gregario?
«All'inizio per tutti è lavoro di gregariato puro, anche se arrivavo sempre tra i primi e collezionavo piazzamenti. Le tre caratteristiche principali per un uomo da corsa a tappe sono: il recupero, la forza a cronometro, la forza in salita. Io le avevo tutte e tre e nel primo anno tra i professionisti ero in una squadra con capitani fortissimi, Pantani e Garzelli. Purtroppo, conoscendo le grandi potenzialità nei giri a tappe, non sono mai riuscito a dimostrarle. Ho corso in un periodo in cui c'erano veramente atleti di altissimo livello: da Pantani a Armstrong a Ulrich, facevano la differenza in assoluto».


Chi era il ciclista Marco Pantani?
«Pantani era una persona splendida, molto intelligente, molto generosa, di compagnia. Marco era un leader, un vero uomo-squadra, aveva un carisma incredibile che ti colpiva subito; anche se stava in silenzio ti trasmetteva sicurezza. Non dava mai risposte casuali. Ero destinato a fare il suo gregario di fiducia dopo che Garzelli aveva cambiato team. Ero pronto per il Tour de France, solo che un mese prima sono caduto e mi sono rotto due vertebre e altro ancora. Stavo partecipando a un giro a tappe all'inizio di giugno, la Piccola bicicletta Basca, ho sbagliato una curva in discesa. Era il 2 giugno 2001, sono stato ricoverato a Bilbao. Ho riprovato negli anni successivi, ma la caduta aveva lesionato il sistema nervoso delle gambe e non ero più competitivo. La mia ultima corsa è stata il Giro di Lombardia del 2003».
Lei c'era quando si è compiuto il declino di Pantani?
«Marco all'inizio di quell'anno era tranquillissimo, ai raduni non mostrava debolezze o un particolare nervosismo. Poi si è assistito alla sua autodistruzione, fino alla tragedia. Brutto da vivere anche dal punto di vista del tifoso, perché vedi un talento fuori dal comune che si distrugge un po' per colpa sua e un po' per colpa degli altri. Le emozioni che dava Pantani non le dava nessuno. Quanto al doping sono cosciente che è un problema che esiste in tutti gli sport, però c'è stato un accanimento feroce in particolare contro il ciclismo». 
Come giudica l'ultimo Tour de France?
«Il Tour è peggiorato dal punto di vista organizzativo ed è stato abbastanza noioso. Il Giro d'Italia è più spettacolare, più appassionante. Nibali sarebbe andato sicuramente a podio, è stato fatto fuori nel momento in cui era entrato in forma».
Adesso da triathleta cosa fa?
«Sono specialista nelle lunghe distanze. Sto andando forte alla mia età, ma soprattutto mi devo divertire, se si fanno sempre le stesse cose ci si annoia ed è la morte dello sport. Faccio tutto, dalle distanze supercorte a quelle lunghissime categoria Ironman che prevede 3 chilometri e 800 metri a nuoto, 180 chilometri in bicicletta e 42 chilometri a piedi, praticamente la maratona. Qui sono stato il primo italiano a salire su un podio mondiale. Sono sempre stato tra i primi dieci in tutte le gare internazionali, ho vinto un argento a squadre e un bronzo assoluto agli europei, sono arrivato tra i primi al mondiale di Las Vegas. Le lunghe distanze vengono dominate da due marchi, Ironman e Challanger, e sono le gare più importanti al mondo. Sono stato il primo italiano a vincere una gara in assoluto del circuito Ironman. Se devo ricordare una vittoria penso al Triathlon lungo dell'Alpe d'Huez. Sono un punto di forza della Nazionale italiana sulle lunghe distanze».
Si vive facendo il professionista?
«Non è facile, ma ci provo. Bisogna essere sempre competitivi ad alti livelli. Faccio questo lavoro e siccome vedo che continuo a vincere e ho ancora tanto entusiasmo, vado avanti. Le gare dove si prendono soldi sono pochissime se paragonate ad altri sport. Purtroppo in Italia si pensa troppo al calcio e questo è la rovina per tutti gli altri sport. Gli sponsor vanno tutti lì e poi se ne parla eccessivamente a discapito di altri sport che meriterebbero di più e che nelle occasioni che contano portano i risultati. Ma gli italiani sono fatti così».
 
Ultimo aggiornamento: 28 Agosto, 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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