La "deportazione" a Venezia e quel libro sui risotti, lady Marsilio si racconta: «Ho fatto tutto per amore»

Domenica 2 Agosto 2020 di Alda Vanzan
Emanuela Bassetti
VENEZIA  - Per anni è stata la moglie di. E lei, volutamente, si è messa in secondo piano. Refrattaria, se non allergica, alle esposizioni mediatiche. «Se ho mai rilasciato interviste? Pochissime». Poi, suo malgrado, Emanuela Bassetti è diventata la signora dell'editoria, portandosi dietro la fama di donna di carattere (che notoriamente non è mai un buon carattere), dicono un po' rude, sicuramente diretta, sincera fino all'intransigenza, eppure di un sorriso profondo. Una che non ama far festa. Una che per i suoi 70 anni, lo scorso gennaio, è volata in Australia dalla figlia, convinta di scapolarla.

Poi, un mese dopo, quand'è tornata in laguna e a sorpresa le hanno augurato buon compleanno è stato difficile non sciogliersi.

«Sono diventata la signora dei risotti», sorride adesso mostrando il singolare dono che tutta la famiglia della Marsilio - che significa famiglia vera e famiglia acquisita tra dipendenti e autori - le ha fatto: Un risotto per Emanuela, libro stampato in appena trecento copie, ognuna numerata, con le cinquantacinque, culturalmente griffatissime, ricette di risotto - vere, verosimili, ma anche inventate - dedicate a lei. Che in cucina dice di non essere granché, ma nei risotti se la cava, eccome.

Il suo curriculum è alto qualche spanna. La sua vita è racchiusa in un sottile filo d'oro che incornicia il collo abbronzato e da cui pendono ricordi, affetti, amori. «Questa sono io», dice mentre con i polpastrelli accarezza simboli di intere vite. La fede del «professore», come ha sempre chiamato in pubblico il marito Cesare De Michelis, scomparso due anni fa. Quelle dei genitori. La perla ricevuta dalla mamma quando le è nata la figlia Giulia e quella in dono «da Luca De Michelis perché avevamo litigato e lui voleva che facessimo pace». E poi i gemelli del nonno adattati per poterli agganciare alla collana. E tutti gli oggettini in oro che, come si usava in famiglia, i «vecchi» regalavano ai figli e ai nipoti quando festeggiavano genetliaci importanti, i 70 anni, gli 80. «Erano loro, i festeggiati, a fare un regalo a noi». Ecco Emanuela Bassetti, la presidente di Marsilio Editori e di Civita Tre Venezie, cooptata un anno fa nel board della Fondazione di Venezia.

Dottoressa Bassetti, la sua famiglia era tra le più importanti della borghesia milanese. Come è capitata a Venezia?
«Per lavoro. Mi laureo in Filosofia a Milano e, molto presto, ancor prima di finire gli studi, esco di casa. I miei mi dicono: vuoi andartene? Fa pure, ma devi arrangiarti. Stiamo parlando del 1970, piena epoca di contestazione. Trovo subito lavoro in Electa, facevo i libri per bambini. E poi da Guaraldi, a Firenze. E lì conosco Cesare. Che nel frattempo aveva acquistato la Guaraldi, c'era stata la fusione con la Marsilio. Si dividono le funzioni: a Firenze amministrazione e marketing, a Venezia la produzione. E io vengo deportata a Venezia».

Deportata?
«A Firenze stavo benissimo».

Ma a Venezia incontra l'amore. È vero che la mamma del professore De Michelis era preoccupata per lei?
«La mamma di Cesare l'ha preso da parte e gli ha detto: guarda che la metti in difficoltà, questa è una ragazza perbene, tu sei sposato, hai un figlio, stai attento. Ma ci amavamo».

Cosa l'ha colpita di lui?
«Mi sono innamorata della sua parola. È stato un innamoramento complicato, non il coup de foudre. Una cosa molto progressiva, Cesare mi affascinava».

Com'era?
«Divertentissimo, molto spiritoso, di una polemicità, una cultura, una dialettica che ti incantava».

Quand'è arrivata, com'era Venezia?
«Venezia è una città difficile, aristocratica, chiusa nei confronti degli esterni. Ero considerata la ragazzetta che veniva da fuori, la foresta che in più metteva le mani su questa famiglia un po' sacra che erano i De Michelis. Ho fatto molta fatica. Poi, ovviamente, i tempi passano, Marsilio mi ha aiutato tantissimo: lavorando qui dentro acquisisci un ruolo che non ti possono negare. E l'iniziale atteggiamento di antipatia che poteva esserci nei miei confronti è venuto meno».

Che impressione le ha fatto Venezia durante il lockdown?
«Era una città spettrale. E spaventata. Sto guardando una serie di fotografie fatte ai primi di marzo. E lì capisci la forza di Venezia, la potenza della struttura architettonica di questa città».

Dipendesse da lei, cosa bisognerebbe fare?
«Va costruito un turismo di qualità. Credo che la cultura possa essere il braccio che può rendere il turismo uno strumento di sviluppo legato alla qualità. Poi, l'università: dobbiamo smettere di considerare gli studenti dei rapinatori, quindi ben vengano le politiche di facilitazione alla residenza. Terzo, credo sia possibile insediare a Venezia organismi internazionali che ragionino sulla sostenibilità della città. La priorità è creare lavoro. E senza rapinare i turisti».

Ha mai pensato di impegnarsi in politica?
«No, sono la donna più antipolitica del mondo, incapace di non dire quello che penso. Questo non significa che, con Marsilio, Civita Tre Venezie e Fondazione di Venezia, non voglia mettermi al servizio della città per una nuova Carta di Venezia, una Carta del XXI secolo, con i principi della sostenibilità, della vivibilità e del mantenimento dell'identità».

Se si fosse votato il referendum per la separazione di Venezia e Mestre?
«Sarei stata contro. Siamo 54mila persone a Venezia, come facciamo a dividerci?».

Parliamo di Marsilio: Feltrinelli adesso ha la maggioranza. È un altro pezzo della città che se ne va?
«No, noi siamo veneziani, moriremo qui. È stato un accordo preso nel 2017, quindi vivo il professor Cesare De Michelis. Abbiamo sempre avuto chiarissima l'idea che piccolo è brutto, soprattutto per un'azienda editoriale. All'inizio del 2000 avevamo ceduto la maggioranza a Rizzoli, poi Rizzoli è stata comprata da Mondadori, l'Antitrust ha deciso che noi - noi Marsilio! - eravamo l'elemento che rovinava il mercato e ci hanno detto di vendere. In quella situazione abbiamo ricomprato noi come famiglia e ci siamo messi a cercare un partner. E abbiamo iniziato a parlare con Carlo Feltrinelli, era il matrimonio giusto da fare. Cosa cambia ora che Feltrinelli ha la maggioranza? Niente. Se non che quando moriremo se ne occuperà Feltrinelli (ride). Abbiamo un socio importante che ci dà strumenti di promozione e distribuzione che ce li saremmo sognati. È un risultato estremamente positivo per Venezia. E con Civita Tre Venezie e il consiglio generale della Fondazione di Venezia, è la dimostrazione che noi qui vogliamo esserci. Siamo un'azienda veneziana e saremo ancora più veneziani grazie all'operazione Feltrinelli».

Emanuela Bassetti bambina: cosa avrebbe voluto fare da grande?
«Avrei voluto avere una cartoleria».

Il posto dove sta bene?
«Casa mia. Secondo me è una delle più belle di casa di Venezia, ma non dal punto di vista del lusso. È una casina in un giardino, una stalla che abbiamo messo a posto, semplicissima, poverissima, in cui ci sono 60mila libri».

Un capo di abbigliamento che non indosserebbe mai?
«Il tacco 10».

Il regalo più costoso ricevuto?
«Un gioiello da Cesare, una freccia di diamanti meravigliosa per i miei 50 anni. Non l'ho mai usato, ma non importa».

Un aggettivo per descrivere suo marito?
«Cesare? L'uomo più intelligente che io abbia incontrato nella mia vita. Di una intelligenza pazzesca e di una generosità inaudita. Le dico due cose: Cesare è stato malissimo, sempre, si è ammalato subito, non ha avuto una vita facile, dentro e fuori gli ospedali, un tumore, due tumori, tre tumori, ma ha sempre avuto la sensazione di aver ricevuto dalla vita molto di più di quanto non avesse dato».

Si è fatta una certa. Torniamo al risotto. Il suo preferito?
«Sono milanese, quindi il risotto giallo. Mio papà si divertiva a cucinarlo consumando, più o meno, un chilo di burro e una bottiglia di cognac. Diciamolo: il risotto buono è un risotto ricco».
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