Marina Cicogna, il nonno che inventò la Mostra del Cinema, l'amicizia con Fellini, Visconti e Warhol Foto

Mercoledì 3 Maggio 2023 di Alda Vanzan
Marina Cicogna

Pensavamo di conoscere tante cose di Marina Cicogna. Molte grazie al suo lavoro di fotografa, sceneggiatrice, produttrice cinematografica di successo - tra l'altro, la prima donna produttrice in Europa e la prima ad aver vinto un Oscar per il miglior film straniero. Tante altre le avevano raccontate le cronache rosa. Naturalmente c'era la famiglia: il padre era il conte Cesare Cicogna Mozzoni, la madre la contessa Annamaria Volpi di Misurata, il nonno materno Giuseppe Volpi, governatore della Tripolitania, creatore di Porto Marghera, inventore della Mostra del cinema di Venezia. E se non fosse bastato, un anno e mezzo fa è arrivato un documentario di Andrea Bettinetti.

Eppure tutto questo non era tutto. Mancava il racconto personale. Mancava lo scavare tra i ricordi per far emergere i momenti belli e i dolori. L'innamoramento per il cinema. Le storie con le star. Le fughe in giro per il mondo. La lunga relazione con Florinda Bolkan. La vita oggi con Benedetta, compagna e figlia adottiva. Il suicidio del fratello Bino. I giudizi su Venezia. E quello che le sarebbe piaciuto fare, ma non le è mai capitato: presiedere la Biennale. Mancava Marina Cicogna raccontata da Marina Cicogna.

 
FUORI DAL COMUNE

Per i tipi di Marsilio ecco Ancora spero. Una storia di vita e di cinema, 270 pagine scritte con la giornalista Sara D'Ascenzo in cui la contessa Cicogna - che il 10 maggio riceverà il David di Donatello alla carriera - racconta se stessa senza omissioni né infingimenti ed è una vita che sembra un film fin dall'infanzia. «Fuori dal comune», dice ricordando la nanny, l'apprendimento dell'inglese, le regole a tavola (un bastone dietro la schiena, un elastico per tenere giù i gomiti), il rigore in famiglia («Non c'erano baci tra noi»), l'unica volta che si prese uno schiaffo dalla madre per un pasticcino non pagato. E poi la vita sotto le bombe quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, con i genitori aristocratici a opporsi al fascismo («Non si trattava solo di fedeltà al re, ma piuttosto di distanza dagli ideali del Duce»). E il fratello Bino, diminutivo di bambino, all'anagrafe Giuseppe Ascanio, più giovane di un anno e mezzo, il cui suicidio a Rio de Janeiro nel 1971 avrebbe interrotto la sua attività di produttrice cinematografica.
Ci sono tanti modi per leggere Ancora spero. Ci si può appassionare alle case abitate dalla contessa. Quella di Cortina d'Ampezzo, «l'unica che io e Bino consideravamo nostra». La Villa Volpi di Marocco, un nome che ai bambini pareva esotico, salvo scoprire che era a due passi da Venezia. La Villa di Maser, comprata dal nonno nel 1934, poi set del film Amanti con Faye Dunaway e Marcello Mastroianni. L'alloggio di appoggio all'Excelsior al Lido. L'appartamento comprato su carta a Miami Beach, salvo poi dimenticarsene. E i luoghi: Hollywood, New York, l'India, la Libia, Fregene, Roma, Miami, Cortina, il Brasile. E Venezia, anche se in laguna, dice, «non ho mai lavorato serenamente, né ci torno a cuor leggero». Spiega: «Andarci e dover dormire in un albergo, con gli occhi ancora pieni di quanto mia madre aveva costruito guidata dal suo amore viscerale per la città, mi provoca un senso di estraneità e di tristezza. Ma c'è una ragione anche più profonda, ed è appunto il nome Volpi, che a Venezia, da sempre, si cerca di dimenticare, e che io invece, con la mia presenza, inevitabilmente riporto a galla. Per me è inspiegabile, perché, per indole, non provo né rancore né invidia».

 
LA PASSIONE

Come indica il sottotitolo, Ancora spero è soprattutto una storia di cinema. «Il cinema è nella mia vita da sempre, nel mio Dna dalla nascita». C'entra il nonno che, due anni prima della sua nascita, volle al Lido la Mostra. Ma non solo. «Avvicinarsi alle star, parlare con loro, essere invitata sui set mi faceva sentire inserita in un mondo al quale ho sempre sognato d'appartenere, e che ho sempre tentato di capire». Lo ribadisce: «Il folle amore della mia vita è stato il cinema». Nel libro si ritrovano i film prodotti, i grandi titoli e i grandi successi. Ma ci sono soprattutto incontri memorabili. Come quello dell'inverno del 1964 quando Marina Cicogna andò a Megève con l'amica Ljuba Rosa: «Ufficialmente per sciare, ma in realtà avevamo saputo che vi era diretto anche Alain Delon, il mito del cinema francese, dopo l'ennesima rottura con Romy Schneider». Una sera sotto la porta trovarono un bigliettino - "Ti aspetto nella camera 104. Alain" - e non è facile indovinare chi, tra le due amiche che alloggiavano nello stesso albergo, si convinse di essere la destinataria dell'invito. «Da Megève lo seguii a Parigi per qualche settimana. Non camminavo, non vivevo, galleggiavo sospesa in un'altra dimensione. Lui era il bello dall'aria beffarda, io la ragazzina invaghita di un mito. È durata il tempo di un soffio».

 
LE AMICIZIE IMPORTANTI

Luchino Visconti, Franco Rossellini, Andy Warhol, Valentino, Diane von Fürstenberg. Gli aneddoti: gli inviti nello yacht di Aristotele Onassis, l'incontro tra l'armatore e Maria Callas nella terrazza del Danieli nel 57, l'ostinazione di Jeanne Moreau che voleva fidanzarsi con Pierre Cardin e ci riuscì. E poi il viaggio in aereo diretto a New York con Federico Fellini, tutti e due che avevano paura di volare e il regista che si faceva mezzo segno della croce e lei allora lo riprendeva: «Guarda, Federico, che il segno della croce o lo fai bene o non vale niente. Anzi, secondo me, lassù, è anche poco apprezzato». Gli amori. Quello ventennale con Florinda Bolkan, conosciuta a casa di Elsa Martinelli a Parigi. E quello di adesso con Benedetta, con Marina che racconta di quella volta che Florinda la trovò nascosta nell'armadio e si infuriò.

 
LA SPERANZA


Ci sono racconti molto personali. L'aborto, tanti anni fa. Il fatto di non aver mai desiderato avere un figlio. La chemioterapia, oggi. «Nella vita ho ricevuto due colpi tremendi che mi hanno completamente sviato dalla strada che stavo percorrendo. La morte di mio fratello, che mi ha investito in pieno pochi mesi dopo aver vinto l'Oscar, e la notizia della malattia». Il motto di casa Cicogna, nel Quattrocento, era: "ancora spero". «Posso solo credere che quelle belle parole assumano un reale significato».

Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 10:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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