​Marietta Barovier, vetraia e imprenditrice, e la perla che conquistò il mondo

Lunedì 23 Luglio 2018 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
Mica lo sapeva Marietta Barovier, in quello scorcio di fine Quattrocento, che la sua perla “rosetta”, ottenuta dalla stratificazione di sei fasce di colore (in origine le stesse: bianco avorio, rosso coppo e blu) modellate a stella lungo una canna di vetro forata e poi tagliata in sezioni e molata, avrebbe contribuito a cambiare i destini del mondo. Era il 1480: entro breve l'intreccio magico dei colori delle sue perle – a volte sagomate per essere più tonde, altre volte a forma di botticella o allungate – divenne l'emblema di una sorta di “aristocrazia” di un oggetto apparentemente semplice e umile, eppure capace di salvare o distruggere vite umane, e di comprare continenti interi.

Destinata alle nascenti colonie delle Americhe, dell'Africa e delle Indie, l'invenzione della muranese costituì nei decenni successivi la più preziosa delle merci di scambio: la rosetta – con le altre perle – servì per acquistare terreni (quando nel 1626 l'olandese Peter Minuit comprò l'isola di Manhattan dai nativi Lenape inserì probabilmente anche un quantitativo di perle di vetro per chiudere l'affare); per comprare schiavi o liberare prigionieri di guerra; per ottenere autorizzazioni e privilegi. Si diceva che la rosetta avesse anche dei poteri magici: le donne incinte ne mettevano una nella ciotola che usavano per dissetarsi, affinché gli influssi benefici del piccolo magico fiore di vetro si trasmettessero al nascituro.

E pensare che all'inizio le perle servirono perlopiù come grani delle corone del rosario. Ben prima di Marietta Barovier, però, erano già divenuti oggetto di moda: nel 1338 si registrò una “spedizione in barile” di questi minuscoli oggetti colorati e fantasiosi (prestissimo, rispetto alla storia dell'isola di Murano, se si considera che le fornaci vi furono trasferite d'imperio nel 1295) e nel 1620 i “Perleri”, fra i quali c’erano anche molte donne, si unirono in un’unica corporazione con i “Margariteri” e i “Paternostreri” che creavano grani da rosario e perline più piccole, chiamate “margarite”. A quel tempo si era già iniziato a lavorare le perle anche fuori dalle fornaci, realizzandole una a una “al lume”, con il calore di una semplice lampada a olio. La Serenissima, che vi guadagnava non poco, aveva concesso molti privilegi alla loro Insegna dell’Arte.

Ma non perdiamo d'occhio la nostra Maria, che tutti conoscono come Marietta: la sua invenzione non nacque dal nulla, perché in fondo era figlia d'arte; faceva parte infatti della nidiata di Angelo Barovier, il più grande innovatore artistico e tecnologico della vetraria del Quattrocento. A lui si deve il “cristallo veneziano”, ovvero il vetro trasparente, ma anche la “coppa Barovier”, forse l'oggetto più prezioso conservato al Museo Vetrario di Murano, una coppa nuziale in vetro blu con decorazioni a smalto. Marietta, secondogenita, aveva altri cinque fratelli: ne abbiamo notizia per la prima volta dal testamento della madre Polona, il 13 settembre del 1431, quando le vengono lasciati sessanta ducati “pro suo maritare”. Una speranza destinata a quanto pare a rimare tale: malgrado non si conosca né la sua data di nascita né quella di morte Marietta Barovier visse molto a lungo ma non si sposò mai, dedicando tutta se stessa al vetro.

Fu una delle diverse donne imprenditrici che qua e là si registrano negli atti a Venezia, che in un universo maschilista diede sempre molto spazio alle donne; certamente fu una di quelle più in vista, “coccolata” dalle autorità che nel luglio del 1497 le fecero una concessione speciale rilasciata dal doge Agostino Barbarigo per l'uso di una fornace per la ricottura degli smalti. A quel tempo collaborava con certezza alla direzione della fabbrica di famiglia assieme al fratello Giovanni (che nel 1481 e nel 1506 fu Castaldo dei Vetrai, nel 1502 fece parte del consiglio che confermò lo statuto della comunità di Murano e nel 1489 era stato citato in alcuni documenti relativi a tessere di smalto impiegate nei mosaici di San Marco).

Fu forse vittima di uno dei primi episodi di spionaggio industriale della storia, visto che un suo garzone, Giorgio Ballarin, le rubò alcune ricette per aprire una sua fornace. Ma queste sono quisquilie da nota a margine nel grande libro delle vicende veneziane nel quale il nome di Marietta Barovier, vestale del vetro, entra inciso a caratteri d'oro.
 
Ultimo aggiornamento: 24 Luglio, 11:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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