Margherita Grassini Sarfatti (1880-1961): critica d'arte, giornalista, scrittrice, "inventrice" del fascismo

Lunedì 22 Novembre 2021 di Alberto Toso Fei
Margherita Grassini Sarfatti
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Fu persona di grande levatura culturale: critica d'arte, giornalista, pensatrice d'avanguardia.

Fu ammiratrice e ispiratrice di Benito Mussolini (del quale fu amante per una ventina d'anni): ne scrisse una biografia di successo, e fu lei a suggerire al duce il rispolvero della "romanità", quella retorica imperiale che fece la fortuna del fascismo. Ma era ebrea (per quanto convertita al cristianesimo), e lei e la sua famiglia fecero amaramente le spese della macchina mostruosa che aveva contribuito a creare.

Margherita Sarfatti fu l'ultimogenita dei quattro figli di Amedeo Grassini e Emma Levi. Nacque a Venezia l'8 aprile 1880. Il padre, avvocato, fu fondatore con Giuseppe Musatti della prima società di vaporetti della città, e fu uno dei promotori della trasformazione del Lido in una località mondana e turistica. La madre era cugina di Giuseppe Levi, a sua volta padre della scrittrice Natalia Ginzburg.

Cresciuta in un ambiente colto e di grande stimolo intellettuale, Margherita Grassini ebbe un'ottima istruzione, con lezioni impartitele in casa da insegnanti della levatura di Antonio Fradeletto e Pompeo Gherardo Molmenti. Parlava correntemente quattro lingue. Fin da giovanissima frequentò letterati come Gabriele D'Annunzio e Giuseppe e Antonio Fogazzaro (che la avvicinò al cristianesimo).

Anticonformista, coltissima, con una visione internazionale, nel 1898 sposò appena diciottenne e contro il volere della famiglia l'avvocato militante socialista Cesare Sarfatti col quale ebbe tre figli e del quale manterrà da quel momento in poi il cognome per il resto della sua vita. Quattro anni più tardi si trasferì a Milano e iniziò a scrivere per l'"Avanti!", l'organo di stampa del partito socialista. In pochi anni divenne responsabile della rubrica di critica d'arte. Mondana, avanguardista, impegnata nella lotta per l'emancipazione femminile, diede vita a uno dei salotti più esclusivi della città, frequentato da artisti e intellettuali. La poetessa Ada Negri le dedicò la sua prima raccolta di poesie, "Le solitarie".

Nel 1912 incontrò Benito Mussolini, allora dirigente del PSI in procinto di assumere la direzione del quotidiano. I due divennero amanti. Fu lei a introdurlo negli ambienti "giusti" di Milano, ad aprirgli orizzonti per lui impensati, a ispirargli l'idea della romanità e dell'unione tra antico impero e modernità che diventò la cifra nel nascente movimento fascista, in ascesa rapida nel primo dopoguerra. Nel corso del conflitto la Sarfatti perdette un figlio appena diciottenne. Lei fu comunque ammaliata da Mussolini, lo ammirò e lo celebrò; nel 1925, lo stesso anno di instaurazione della dittatura (era rimasta vedova l'anno precedente) scrisse una biografia del duce, "Dux", che conobbe un successo editoriale mondiale: diciassette edizioni italiane, traduzione in diciotto lingue, turco e giapponese compreso.

Malgrado il matrimonio di Mussolini con Rachele Guidi, per tutti era “la donna del duce”, al punto da trasferirsi a Roma nel 1926. Ma anche lei cadde presto in disgrazia: Nel 1929, le trattative con la Chiesa consigliarono al duce di far arrivare a Roma anche la famiglia “ufficiale”: a farne le spese fu il maggiordomo di Mussolini, che fece i salti mortali per impedire che le due “mogli” si incontrassero, con un’abile regia che vide le donne entrare e uscire di casa alternativamente da porte diverse. Nel 1932 Mussolini di punto in bianco la fece allontanare da "Il Popolo d'Italia", per il quale scriveva. Sarfatti si era opposta all'avventura coloniale e più tardi si oppose all'alleanza con Hitler, inutilmente.

Il duca la soppianta come amante con la più giovane Claretta Petacci e nel 1936 le impedisce di varcare ulteriormente la soglia di Palazzo Venezia. L'anno successivo, dopo la proclamazione delle leggi razziali, Margherita – che malgrado la conversione avvenuta nel 1928 continuò a proclamarsi culturalmente ebrea – non si sentì più sicura: nel 1938 scappò a Parigi e poi in Uruguay. Alla sorella Nella, rimasta in Italia, andò peggio: deportata ad Auschwitz con il marito morì in campo di concentramento.

La donna che “inventò” il fascismo tornò a Roma nel 1947, dimenticata, e morì il 30 ottobre 1961 nella sua villa di Cavallasca, nel comasco, dopo aver scritto un ultimo libro, “Acqua passata”, in cui rievocava la sua vita. La parola fascismo vi compare una sola volta.


Illustrazione di Matteo Bergamelli
 

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