Marghera. Pugno e insulti per il niqab: «L'aggressore è una donna, già identificata». Sanuara: «Ora ho paura»

Sabato 10 Dicembre 2022 di Davide Tamiello
Marghera. Pugno e insulti per il niqab: «L'aggressore è una donna, già identificata». Sanuara: «Ora ho paura»
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VENEZIA - Quelle torri alte dodici piani sono l’anticamera della città. Quando il treno per Venezia comincia a rallentare per entrare in stazione a Mestre per un qualunque viaggiatore è impossibile non notarle. Quel castello di grattacieli altro non è che la Cita di Marghera. Un quartiere nato 50 anni fa, che deve il suo nome ad Alessandro Cita, proprietario alla fine dell’800 di una fabbrica di concimi naturali a nord di Marghera, pensato come una grande e signorile area residenziale ma che, negli anni, ha preso una declinazione più popolare. Si tratta di una delle prime zone della città in cui, volenti o nolenti, si è dovuto cominciare a parlare di integrazione. Un quartiere in cui la concentrazione di cittadini stranieri è sempre stata particolarmente elevata, mescolandosi negli anni (non sempre con risultati positivi) alla comunità margherina. Non saranno sempre andati d’amore e d’accordo, ma qui la comunità islamica non è certo una novità: per questo risulta ancora più strano il fatto che sia avvenuta proprio qui l’aggressione a una donna che indossava il velo. Eppure mercoledì pomeriggio Sanuara, 29enne di origini bengalesi, è stata insultata, aggredita e umiliata proprio per il suo niqab, il velo integrale che lascia scoperti solamente gli occhi.
A picchiarla una donna della zona: i carabinieri si sono fatti consegnare i video di sorveglianza e l’avrebbero già identificata, ora sarà la procura a valutare la sua posizione. «Quella scena continua a ripetersi davanti ai miei occhi - racconta Sanuara, che è moglie di uno dei quattro imam della comunità islamica veneziana - quando esco di casa adesso ho paura di tutti gli italiani, ho il timore che qualcun altro possa aggredirmi di nuovo.

Sono stufa, al mercato, a scuola, mi chiamano “fantasma”. Io non sono un fantasma, sono reale. E questo velo è una mia scelta, lo voglio perché fa parte della mia cultura e della mia tradizione». 

LA TESTIMONIANZA 

Sanuara, che vive a Mestre, era andata a Marghera con il padre per salutare la cognata e il fratello: la coppia vive in un condominio in via Longhena. «Io in quel momento non c’ero, stavo lavorando in uno degli appartamenti - racconta Luca Stocco, portiere della palazzina - mi hanno chiamato e mi sono precipitato per soccorrere la signora. La persona che l’aveva aggredita, a quel punto, non c’era già più». Stocco lavora in questo quartiere da 13 anni. «Cose così purtroppo qui possono succedere - racconta - questi condomini sono nati in un contesto signorile, ma oggi sono diventate case popolari. A livello sociale, i problemi non mancano». Che si tratti di un’area un po’ calda lo dice la storia: i grandi problemi di convivenza tra locali e stranieri all’interno della torre 27, l’incubo dello spaccio e delle overdosi. Per non parlare del fatto che per un quindicina d’anni è stato il quartiere di “Elsa”, il puma. Sì, un puma: una famiglia aveva adottato l’enorme felino come animale domestico e lo faceva vivere nel suo appartamento. Altro particolare: questo quartiere, per due anni, è stato praticamente “la casa” del presidente della Regione Luca Zaia. In via Longhena, infatti, c’è anche la sede della protezione civile regionale, effettivo quartier generale del presidente durante i suoi quotidiani punti stampa di aggiornamento sullo stato di avanzamento della pandemia. 

LA COMUNITÀ

L’aggressione alla 29enne ha ferito un’intera comunità. I bengalesi, in città, sono l’etnia straniera più numerosa: i residenti stando ai dati del Comune (aggiornati a fine 2021) sono 7.500 (ma secondo i loro portavoce si parlerebbe di almeno 10mila persone). Ieri, al centro di preghiera di via Linghindal, sono stati distribuiti centinaia di volantini per raccontare la denuncia di Sanuara. «È un episodio grave - commenta Allam Shariful, responsabile del centro - è non è la prima volta che succede. Le nostre donne devono essere libere di scegliere come vestirsi». «Nel mio condominio - aggiunge uno dei portavoce della comunità, Samrat Abdullah - ho ricevuto una segnalazione dell’amministratore perché ero stato visto uscire di casa “vestito da musulmano”. Sono pericoloso se indosso una tunica? Vogliamo convivere nel modo migliore possibile, ma non credo di creare disordini o insicurezza se indosso un abito della mia tradizione». Per questo motivo, nelle prossime ore, verrà chiesta al questore di Venezia, Maurizio Masciopinto, l’autorizzazione a organizzare una manifestazione di protesta sull’accaduto.

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Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre, 18:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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