VENEZIA - Abbracci e lacrime hanno circondato d'affetto Marco Zennaro, ieri pomeriggio in campo San Bortolomio.
GLI AMICI
Poi, in giaccone nero e jeans, è sceso fra gli amici, con il figlio maggiore. Il primo abbraccio è andato a Stefano Zanchetto, amico d'infanzia: «Sono stati mesi di grande preoccupazione - ha affermato Zanchetto - ero in contatto con Marco anche quando era in prigione e cercavo di fargli forza. Noi amici eravamo la sua valvola di sfogo e ci raccontava cose troppo brutte e dure per confidarle alla moglie. Sono stati cinici e perfidi, facendogli intravvedere l'uscita verso la libertà, per chiuderla sulla sua faccia ogni volta. Anche il permesso di tenere il cellulare da recluso, se da una parte gli permetteva di rimanere in contatto con il mondo, dall'altro era un ulteriore strumento di pressione perché chiedesse soldi».
«UNA SORPRESA»
Un abbraccio per tutti, parole di sollievo e di felicità. Marco è apparso in buono stato, certamente dimagrito. A chi glielo faceva notare, rispondeva ironico: «Sì, mi sono fatto due plastiche». Sorridente anche il figlio : «È stata una sorpresa - racconta senza alcuna timidezza - perché non mi hanno detto nulla sul ritorno di papà. Sono tanto contento. Lui non è mai severo, è un papà buonissimo». Fra gli amici anche il campione di voga Vito Redolfi Tezzat: «Ci siamo conosciuti alla Canottieri Giudecca - ricorda - ne è nata subito un'amicizia. Marco è tenace, e quando voga non molla mai». È finita, urlavano in molti. «Sì finalmente è finita - ripeteva con loro Zennaro - è merito vostro se sono qui. Non porto rancori verso alcuno. Ringrazio solo Venezia e quanti mi hanno aiutato». Poi tutti si sono diretti verso la Pescheria, dove è stata allestita una piccola postazione dj per far ulteriore festa. Con un bicchiere di birra in mano, Marco Zennaro ha raccontato le sue prime impressioni sul ritorno e su come è stato accolto.
IL RACCONTO
«In Sudan mi hanno detto che ci sono italiani che non sono più tornati a casa. Si va in carcere per un nonnulla e ci sono persone detenute da mesi che non sanno nemmeno il perché. I tribunali di Kartum sono fatiscenti: mancano i computer, la carta, e sovrascrivono le sentenze su fogli già usati. In più durante il giorno ci sono parecchi blackout di elettricità. Per la mia partenza mancava solo un timbro. È mancata la luce e tutti hanno sospeso il lavoro, rinviandolo al giorno dopo. Paradossalmente i giorni più difficili sono stati gli ultimi, quando diverse avversità impedivano il mio rientro. Mi sembrava di vivere all'interno di uno scherzo drammatico».
«Ringrazio molto i medici di Emergency che sono venuti in carcere a visitarmi e a vaccinarmi, oltre a Mario Pozza, presidente di Unioncamere, che da subito si è attivato per raccogliere i soldi che le autorità sudanesi volevano. Sono molte le persone che devo ringraziare di cuore; ora avrò il tempo per contattarli ad uno ad uno. Appena arrivato ho voluto subito immergermi nella routine di ogni giorno: ad esempio ho portato mio figlio a sottoporsi al tampone. Mentre ero detenuto, ho potuto vedere centinaia di barche in Canal Grande per me. Lì mi sono detto: Venezia ti aspetta, tu devi uscire di qua. Sentire vicini i veneziani mi ha dato forza, la consapevolezza delle mie radici, di una specifica appartenenza. Ecco cosa sa fare Venezia, sempre attiva e solidale. Quanto è stato organizzato per me deve essere di esempio per quanti denigrano la città e la sua socialità, anche se siamo rimasti in pochi. Forse dovremmo far convergere meglio questa città attiva. Domani sarò già in ufficio. Per tenermi in allenamento, tiravo di boxe, uno sport che ho imparato ad apprezzare, anche se non vedo l'ora di una bella vogata a la valesana».