Marco Polo, il mercante veneziano che raccontò la Cina all'Europa

Lunedì 20 Maggio 2019
Marco Polo nell'illustrazione di Bergamelli
Il suo “Milione” è forse il testo scritto da un veneziano più conosciuto al mondo, e sebbene non sia stato l'unico mercante della Serenissima a raggiungere l'India e la Cina, il fatto che abbia lasciato un libro di memorie così vivide (oltre al tipo di esperienze vissute nel Catai) rendono Marco Polo l'archetipo della figura del viaggiatore, e sicuramente uno degli esploratori più noti di tutti i tempi. Furono le sue descrizioni dell'Asia a ispirare Cristoforo Colombo (che fino alla morte restò convinto di avere raggiunto il Catai) e si narra che una copia del suo libro fosse incatenata all'ingresso della chiesa di San Giovanni Elemosinario, a Rialto, quale “manabile” di tutti coloro che intendevano mettersi in viaggio sulla Via della Seta.

In realtà noi sappiamo due cose: che seguì il padre Niccolò e lo zio Matteo quando aveva circa diciassette anni, dopo che loro erano già stati alla corte di Kubilai Khan ed erano tornati a Venezia; e che non scrisse direttamente il testo, ma lo dettò a Rustichello da Pisa, prigioniero come lui dei genovesi. Ma andiamo per ordine: nato a Venezia il 15 settembre 1254 (non vi sono elementi storici che lascino pensare a dei natali sull'isola di Curzola), vide suo padre partire quando era solo un bambino e lo conobbe di fatto quando oramai era molto più che un adolescente; nel 1260 infatti Niccolò e Matteo Polo attraversarono l'Asia e raggiunsero Khanbaliq (l'odierna Pechino, già allora residenza imperiale), ripartendo nel 1266 con una ambasciata di Kubilai Khan per il Papa: la richiesta di missionari per la Mongolia.

Tornati nel 1269, i due ripartirono nel 1271 portando Marco con loro; ne nacquero diciassette anni di missioni e cariche governative, responsabilità e onoreficenze: il giovane Polo si spinse in missioni ufficiali nello Yunnan, in Tibet, in Birmania, in India, e questo rese unica e irripetibile la sua esperienza, che non fu più quella di un semplice viaggiatore, e che a pieno titolo merita di essere ricordata ancora oggi. Marco Polo e i suoi parenti fecero ritorno a Venezia solo 24 anni dopo essere partiti, il 9 novembre 1295. Tre anni più tardi il veneziano fu fatto prigioniero dai genovesi nella battaglia delle Curzolari (mentre altre fonti indicano Laiazzo, in Cilicia). Ne nacque una lunga prigionia durante la quale Polo dettò le sue memorie un compagno di detenzione, Rustichello da Pisa. Scritte in francese antico, queste cronache ebbero il nome di “Divisiment dou monde”; il successivo nome di “Milione” (col quale a Venezia è conosciuta l'intera zona in cui i Polo avevano le loro case – dove sorge il teatro Malibran – delle quali rimane una piccola porzione) potrebbe essere stato mutuato successivamente dal nomignolo "Emilione" affibbiato a qualche componente del suo ramo familiare. Alcune delle informazioni contenute nell'opera (della quale – prima della diffusione della stampa – esistono almeno centocinquanta manoscritti) furono utilizzate da fra Mauro nella realizzazione del suo celebre mappamondo quattrocentesco; a Siviglia si conserva una copia che riporterebbe delle note scritte da Cristoforo Colombo di suo pugno.

Nel 1300 Marco Polo sposò la patrizia veneziana Donata Badoer dalla quale ebbe le figlie Fantina, Belella e Moreta.
Il 9 gennaio del 1323 more veneto (cioè nel 1324), a quasi settant'anni d'età, dettò le sue volontà – raccolte dal notaio Giovanni Giustiniani – trascritte in una pergamena conservata alla Biblioteca Nazionale Marciana: sentendosi “ogni giorno indebolire per malattia del corpo, ma per grazia di Dio sano di mente” Marco Polo nominava sue eredi le figlie e disponeva una pensione annua di otto ducati alla moglie, alla quale – oltre alla restituzione della dote – affidava il guardaroba e il mobilio della casa. L'atto menziona uno schiavo tartaro, Pietro, che il veneziano affrancò con l'elargizione di cento lire di denari piccoli. Marco Polo morì nella sua casa veneziana nel giugno dello stesso anno; “Non ho raccontato neppure la metà di ciò che ho visto, perché sapevo che nessuno ci avrebbe creduto", avrebbe detto sul letto di morte. Fu tumulato nella piccola chiesa di San Sebastiano (accanto a San Lorenzo, dove successivamente le spoglie furono traslate). I suoi resti sono andati dispersi.
Ultimo aggiornamento: 19:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci